Al Celio delle origini «In Domnica», con omaggio a Iside
La Basilica fondata dai primi cristiani, valorizzata dai Medici e amata dai Papi
Quando il palermitano Agatone diventò Papa nel 678 sembra avesse compiuto 103 anni. Una delle prime decisioni fu assegnare la diaconia alla Basilica di Santa Maria in Domnica, al Celio. Una delle più antiche di Roma, era molto diversa da quella che vediamo oggi e resa unica dalla Navicella in marmo che dà il nome alla via.
Ma ogni volta che veniamo al Celio dovremmo abbassare la voce per ascoltare l’eco dei secoli che qui è un sussurro intenso e profondo. Siamo nell’area dove si trovava la V coorte dei Vigiles (i trisnonni dei nostri vigili urbani), un corpo istituito da Augusto nel 6 d.C. per sorvegliare le strade e proteggere la città dagli incendi.
L’originale ritrovata vicino al Colosseo, era l’offerta alla dea Iside, protettrice dei naviganti, di marinai scampati a un naufragio I cristiani, dopo le persecuzioni, vollero una chiesa vicino a questa caserma. Ma il primo serio ampliamento avviene nel IX secolo, grazie al papa benedettino Pasquale I.
È controversa perfino l’origine del nome «in Domnica» che taluni vogliono riferito semplicemente a dominicum «del Signore», altri fanno riferimento al fatto che da queste parti fosse la casa di Ciriaca, nobile romana convertita al Cristianesimo nel III secolo e per questo torturata e uccisa da Decio. E Ciriaca, nome di origine greca, significa proprio «consacrata al Signore».
La preziosa basilica che conosciamo si deve al fatto che tra i suoi titolari figurano molti futuri papi (basti citare
Gregorio VII nel 1059), ma soprattutto alla famiglia fiorentina dei Medici. Fu Giovanni, secondo figlio di Lorenzo il Magnifico e futuro Papa Leone X ad affidare ad Andrea Sansovino la ristrutturazione nei primi anni del Cinquecento. E l’artista pensò di valorizzare, ricostruendola, una scultura in marmo raffigurante una galera romana e che lo storico Pomponio Leto racconta fosse stata ritrovata vicino al Colosseo. La Navicella sarebbe stata l’offerta alla dea Iside, protettrice dei naviganti, di marinai scampati a un naufragio e impiegati al Colosseo per la loro abilità nel manovrare il grande velario dell’Anfiteatro Flavio. Sansovino fece imprimere ben chiari gli stemmi medicei sul basamento della Navicella e l’avvicinò alla chiesa. La fontana che vediamo è molto più recente, risale al 1931 quando venne costruita la vasca in travertino e venne collocata al centro dello slargo antistante la basilica e circondata da colonnine unite da una catena.
Sopra il loggiato con cinque arcate l’artista (originario di Monte San Savino), ha aperto due finestre ai lati del rosone. Il timpano ospita gli stemmi marmorei dei cardinali Giovanni e Ferdinando de’ Medici e al centro quello di Papa Innocenzo VIII. L’interno della chiesa conserva la pianta basilicale del IX secolo a tre navate: quella centrale presenta il soffitto a cassettoni voluto nel 1566 da Ferdinando de’ Medici. Nella volta dell’abside i mosaici risalgono al IX secolo e a papa Pasquale I raffigurato in ginocchio davanti alla Vergine.
Se vi capita di sentire il rintocco della campana, pensate che porta impressa la data della fusione: 1288.