Paolo Fresu: vi porto nell’anima del mio jazz
Paolo Fresu domani sarà il protagonista del salotto virtuale di Officina Pasolini
La rubrica Sui social Fresu cura in sardo, con sottotitoli italiani -una selezione di dischi e libri
Èil jazzista italiano che ha conquistato la più larga fama internazionale. Ma da una trentina d’anni a questa parte torna nel suo paese natale, Berchidda, poco più di 2.500 anime, in provincia di Sassari, per organizzare «Time in Jazz». Una rassegna non solo di musica «che porta qualcosa come tre milioni di euro netti di indotto», sottolinea Paolo Fresu.
Non si arriverà a questa cifra, ma nell’estate del distanziamento sociale il Festival si farà. Quasi rispettato il programma originale: «Abbiamo dovuto rimandare al prossimo anno i 100Cellos di Menozzi e Sollima, perché – racconta Fresu - sono 100 violoncelli e le regole di distanza non valgono solo per gli spettatori, ma anche per chi si esibisce sul palcoscenico. Poi dovuto dormire ognuno in casa di un berchiddese e in questo momento le cose sono un po’ complicate. Però ci hanno suggerito il titolo del Festival, che è Anima. Dentro gli strumenti ad arco, si chiama anima un pezzo di legno che serve per mantenere in piedi la struttura della cassa ed anche per trasportare il suono. Da noi a Berchidda, quando prendi in casa una persona che non appartiene alla tua famiglia, si dice che lo stai prendendo “a figiu e anima”. I violoncellisti, dunque, avrebbero dovuto essere ognuno figlio d’anima… di un berchiddese. Un tema per altro estremamente contemporaneo, visto il momento che stiamo vivendo». E in linea con l’idea di musica che aveva Ezio Bosso, «che a Berchidda ha lasciato un ricordo, un segno indelebile e al quale dedichiamo questa edizione».
Mantenere in piedi le cose. Di questo ed altro Paolo Fresu tornerà a parlare in una delle prossime dirette Instagram di Officina Pasolini (hub culturale della Regione Lazio), domani, ore 18, incalzato dal critico musicale Gino Castaldo. Un salotto virtuale che offre «l’opportunità al pubblico di approfondire il rapporto con un artista». Nel lockdown, Fresu ha usato quasi più la penna che la tromba, soprattutto in difesa dei lavoratori dello spettacolo: «Non avevamo nessuno strumento per uscire da casa, se non quello della rete. Ho cercato di usarla bene per dire le cose che mi stavano a cuore e anche inventarmi qualcosa di creativo. Ho comprato una scheda audio, ho postato ogni domenica dei video che faccio con le mie mani, prendendo scampoli di roba vecchia sulla quaavrebbero le suono da solo, o magari con Bebo Ferra da Monza, o Daniele Di Bonaventura da Fermo, o la Vanoni a Milano, o Rita Marcotulli o Luca Barbarossa da Roma». Sui social anche una rubrica, «Dae Domo a Casa, selezione dei dischi e dei libri che amo e che consiglio rigorosamente in sardo, con i sottotitoli in italiano, laborioso, faticosissimo ma molto divertente». Tra i post ricevuti, anche i saluti di Peter Gabriel. «Però nei commenti, ogni tanto arriva quello che dice: in fondo voi cosa volete, siete artisti, tanto campate d’aria, mica il vostro è un mestiere. Oppure quelli che scrivono: ma perché non stai zitto e suoni la tromba». L’Italia che ignora l’importanza della cultura: «Non parlo per me, perché ho le spalle larghe. Ma nella comunità dei professionisti dello spettacolo, non solo gli artisti, anche tutti i lavoratori, siamo quasi mezzo milione di persone e molti stanno vivendo di stenti. Ho paura che quasi la metà dovranno cercarsi un altro lavoro, non ce la faranno. E questa sarà una sconfitta pazzesca per il Paese. Perché anzitutto saranno sulle spalle dello Stato. E perché mancherà un esercito di persone che mantiene un’industria, quella culturale, che rappresenta una fetta significativa del nostro Pil nazionale».
Lockdown Ho cercato di usare bene la rete per dire le cose che mi stavano a cuore e anche inventarmi qualcosa di creativo