Titina Maselli, una retrospettiva con 47 dipinti
Quindici anni sono trascorsi dalla sua scomparsa, nel 2005. E da allora troppo poche sono state le occasioni per ripercorrere, con taglio antologico, l’intero cammino di Titina Maselli, classe 1924. Un’artista che fin dal secondo dopoguerra, sia pur fuori dalle mode e dalle dispute in voga (non fu mai né propriamente figurativa, né propriamente astratta, per dirne una), fu una delle protagoniste di punta della pittura: italiana, sì, ma con vocazione, stile e gusti internazionali.
Merito dunque l’aver riportato in agenda il suo nome alla Bertolami Fine Art, che in collaborazione con il neonato Archivio Titina Maselli propone, fino al 30 marzo, una mostra con 47 lavori dell’artista, partendo addirittura dai quadri dipinti da bambina negli anni Trenta per giungere all’ultima tela, Boxeurs (2005), che era ancora sul cavalletto quando, a 81 anni, morì.
Chi era, Titina Maselli: per raccontarne la genealogia non basterebbe un libro. Suo padre, Ercole, critico d’arte di punta tra le due guerre. Sua madre, Elena Labroca, sorella del celebre compositore Mario. Parenti e sodali di famiglia, i Pirandello. Il fratello piccolo Francesco, detto Citto, futuro regista di fama. Un matrimonio lampo con Toti Scialoja. E nella casa di famiglia in via Sardegna, per decenni l’intenso viavai di un intero panteon novecentesco...
Per la carriera di Titina come pittrice basterà invece ricordare almeno i primi passi: la personale d’esordio nel 1948 alla galleria L’Obelisco di Irene Brin e Gaspero del Corso, la
Biennale del 1950, la mostra da Plinio de Martiis nel ’55. Dato non trascurabile, poi, è che Titina fu anche donna fascinosa, elegantissima con una punta di stravaganza e con una costante vocazione cosmopolita. Per anni ebbe studio-atelier a Parigi, nel celebre falansterio «La Ruche». E nei primissimi Cinquanta, in netto anticipo sui tempi e quando ancora non ci andava nessuno, visse a New York, un periodo che marcherà per sempre il suo immaginario.
In mostra, oggi, l’intero percorso, sia pure in sintesi: le prime prove d’artista ancora intrise di espressionismo novecentesco, fino ai prediletti quadri legati al tema della metropoli contemporanea e al mondo dello sport: città, grattacieli, camion, pugili, ciclisti e calciatori, visioni quasi sempre in movimento e non immemori della grande lezione «dinamica» del Futurismo. Un
Futurismo che Maselli però — pop prima del pop — attualizza in modo tutto suo con linee sintetiche, colori netti e contrasti che arrivano ad anticipare, di decenni e sia pur solo «su cavalletto», anche le tante espressioni di Urban Art.
Ad affiancare le esplosioni cromatiche di Titina ci sono anche alcuni ritratti di lei composti da altri artisti, e un catalogo con scritti vari tra cui spicca il ricordo intimo e affettuoso di Citto. Che inizia così: «Come spesso accade ai fratelli minori io da piccolo adoravo Titina che per me era quasi un Dio. Basti dire che per aver lei detto una volta che non le piacevano l’aglio e la cipolla io sono arrivato a somatizzare quella avversione per cui ancora oggi che sono sui novanta non posso mangiare niente che sia condito con quei due ortaggi. Salvo scoprire poi, da grande, che lei mangiava cibi tranquillamente con aglio o cipolla senza problemi».