L’«Autoritratto» di Rembrandt a Palazzo Corsini
In mostra l’Autoritratto appartenuto al cardinal Neri Maria, in prestito dal Rijksmuseum
Un unico quadro in mostra. In grado però, anche da solo e al di là della sua qualità intrinseca, di raccontare una storia. Una vicenda tanto suggestiva quanto emblematica di un capitolo fondamentale della storia dell’arte: la dispersione, da Roma e nel mondo, di tanti capolavori, all’indomani dell’occupazione francese tra fine Sette e inizi Ottocento.
Il quadro è l’Autoritratto come san Paolo di Rembrandt, olio firmato dal grande pittore olandese e datato 1661, che nel Settecento faceva parte della collezione Corsini, esposto nelle sale del Palazzo di famiglia alla Lungara. Lo stesso quadro che da oggi al 15 giugno fa il suo (temporaneo) ritorno nell’edificio, nel frattempo diventato museo di Stato e sede della Galleria nazionale d’arte antica.
La mostra è il frutto di studi e ricerche del suo curatore, Alessandro Cosma, che all’Autoritratto ha affiancato alcune incisioni originali di Rembrandt, anch’esse provenienti dalle collezioni Corsini e ora conservate presso l’Istituto nazionale per la Grafica.
Ed eccola, la storia dell’Autoritratto: fu acquistato fra il 1737 e il 1739 dal ricco e potente cardinal Neri Maria Corsini, nipote di papa Clemente XI, per la cifra di cento scudi. A venderglielo Marie-Thérèse Gosset, vedova del pittore Nicolas Vleughels (1668-1737),
che dal 1725 fu direttore dell’Accademia di Francia a Roma. Arriva il 1799, annus horribilis per la nobiltà romana e per il collezionismo nello Stato pontifico, e gli eredi Corsini sono costretti, come altri principi, a far fronte a tasse straordinarie e ingentissime dovute al governo francese occupante. Dai Colonna ai Borghese, fu allora che molti capolavori «italiani» presero la via dell’espatrio. In assenza del principe che si trovava in Sicilia, fu il «maestro di casa» Corsini del tempo, Ludovico Radice, a organizzare la vendita di 25 dipinti della collezione al mercante Luigi Mirri, il quale ne rivendette una parte all’inglese William Ottley.
Le opere Corsini vendute in quell’occasione includevano, oltre al Rembrandt, la Visione di sant’Agostino di Garofalo, oggi alla National Gallery di Londra, e il Sacrificio di Noè attribuito a Poussin, oggi a Tatton Park. L’Autoritratto passò poi di mano in mano tra i principali mercanti inglesi a Roma, da Ottley a Robert Fagan, da James Irvine a William Buchanan. Fino a quando, nel 1807, quest’ultimo lo portò in Inghilterra. Da qui, dopo numerosi passaggi, il dipinto giunge infine al Rijksmuseum di Amsterdam, attuale prestatore (cui la galleria Corsini ha dato, in cambio, il San Giovanni Battista di Caravaggio per una mostra temporanea).
Nel 1800, con la fine della Repubblica Romana, il principe Corsini, dopo una causa con Mirri e Ottley per fermare l’esportazione dei suoi dipinti, riuscì, ricomprandoli, a riprenderne alcuni, ancora oggi esposti nel museo. Rientrò, ad esempio, l’iconica Madonna del latte di Murillo. Ma non il Rembrandt. Che dunque dopo 201 anni torna oggi in quella che fu la sua «casa». Un vicenda ora dettagliatamente ricostruita grazie a documenti — lettere, stime e atti processuali — ritrovati da Cosma nell’Archivio Corsini di San Casciano in Val di Pesa.
Allestimento Ad affiancare il quadro del genio olandese, una selezione delle sue incisioni