«Uccisa dalle fiamme quando era viva»
L’autopsia rilancia i dubbi sulla fine della 49enne. Interrogati i clochard della baraccopoli
I primi risultati dell’autopsia non hanno evidenziato segni di violenza o ferite e certificano che il decesso è avvenuto in seguito alla inalazione del fumo del rogo che avvolgeva quando era ancora viva il corpo della donna ritrovata carbonizzata venerdì mattina nel parco delle Tre Fontane. Maria Cristina Olivi, 49 anni, aveva gravi problemi di depressione e schizofrenia e anche nella sua borsa sono stati ritrovati farmaci per queste patologie. Interrogati i frequentatori della vicina baraccopoli di via Ballarin. Intanto la polizia scientifica cerca di risalire alle modalità di innesco delle fiamme.
Maria Caterina Olivi era viva quando il suo corpo è stato avvolto dalle fiamme. Sono i primi risultati dell’autopsia cominciata ieri sulla donna trovata morta venerdì mattina tra l’erba alta del parco delle Tre Fontane, al Laurentino. Gli accertamenti affidati dal pm Vittorio Pilla al professor Silvestro Mauriello, medico legale del policlinico Tor Vergata, evidenziano infatti che la 49enne afflitta da forti crisi depressive e in cura per schizofrenia è stata uccisa dalle inalazioni del fumo sprigionato dal rogo che ha finito poi per carbonizzarla. Sulle parti del corpo rimaste integre non sono stati ritrovati segni di violenza o ferite. Tradotto dal punto di vista delle indagini, sono tutti elementi che rendono più plausibile l’ipotesi del suicidio, anche se è presto per poter escludere l’omicidio che dà l’intestazione al fascicolo della procura.
A tenere aperta la possibilità che la donna sia stata aggredita nel parco dove vagava forse nel pieno di una sua crisi è il mancato ritrovamento sul luogo dell’incendio sia di un accendino che di una tanica
o qualcosa di simile che contenesse liquido infiammabile. Ma non è escluso che la vittima abbia usato fiammiferi e portato con se un panno imbevuto di prodotti come trielina che usava nella lavanderia dove lavorava. Su questo capitolo sono stati chiamati in causa gli esperti della polizia scientifica ad affiancare i colleghi della squadra mobile. Che dal canto loro hanno aggiunto altri elementi alla ricostruzione dell’ultima notte
di Maria Cristina Olivi. Alle 21.30 di giovedì la donna ha sentito telefonicamente la madre, che riferisce di una conversazione in nulla diversa da quelle che con consuetudine avvenivano tra loro. Sia nella borsa (ritrovata di fianco al cadavere, con dentro ancora documenti, telefono e portafogli) sia nell’armadietto del bagno di casa, c’erano medicinali — antidepressivi — dai quali la 49enne dipendeva.
Fissando alle 3,30 circa l’orario in cui le fiamme sono divampate, la squadra mobile sta inoltre indagando sulla comunità di sbandati e senza tetto (una cinquantina fino all’estate, ora meno della metà) che popola le baracche sotto il cavalcavia di via Aldo Ballarin. Si tratta di figure spesso border line, tra le quali anche il senegalese che riferisce di aver visto tre uomini allontanarsi dall’incendio e di essere andato alla vicina stazione della polizia municipale per lanciare un allarme rimasto inascoltato. Conferme a questa sua versione, però, al momento non ci sono. L’obbiettivo degli inquirenti è ricostruire movimenti ed allontanamenti nella giornata di venerdì tra questo gruppo di persone nell’ipotesi puramente teorica che un eventuale assassino si sia reso irreperibile temendo di essere scoperto.
I dati completi dell’autopsia, incluso l’esame tossicologico su un eventuale abuso di farmaci, dovranno dire il resto.