«Petite italienne» Juana Romani, la pittrice ritrovata
Una mostra a Velletri ricorda la Romani, modella e artista nella Parigi fin de siècle
Una storia talmente incredibile che pare uscita dalla fantasia di uno sceneggiatore. Invece è una storia vera, che una mostra inaugurata ieri nel Convento del Carmine di Velletri ripercorre tappa per tappa. È la storia di una pittrice, Juana Romani (Velletri, 1867-Suresnes, 1923), che con le sue opere di gusto neo-seicentesco, al tempo in voga, seppe conquistare la Parigi ufficiale e quella bohemienne a cavallo tra Otto e Novecento, gli anni della Belle Époque. Juana che poi morirà dimenticata, in un manicomio, affetta da una sindrome dissociativa all’epoca, forse, poco curabile.
Juana dimenticata ma ora riscoperta proprio dalla sua Velletri. Lei che dalla cittadina laziale era partita ancora bimba dopo un’infanzia difficile, abbandonata dal padre, un brigante, e giunta nella Ville
Lumière con la mamma, ex bracciante e poi cameriera in casa Romani, famiglia veliterna di rango. Un topos: di sua madre si innamora proprio un rampollo di quel casato, da cui la fuga a tre — cameriera, innamorato, bambina — verso una Parigi dove madre e figlia sopravviveranno facendo le modelle, mestiere in cui al tempo erano dediti italiani e italiane, laziali e ciociari in particolar modo. Juana però (suo vero nome era Carolina Carlesimo) ha talento. E alla
petite italienne il destino riserverà il passaggio, gia ventenne, da modella (per Falguière e Carolus Duran, tra i tanti) ad artista. Pittrice acclamata nei Salon e piuttosto sui generis. La sua ispirazione è infatti legata quasi esclusivamente all’universo femminile: nobildonne, personaggi letterari com Angelica, dall’Orlando Furioso, icone della tradizione biblica (Salomè) o note per vicende storiche come Bianca Cappello. A tutte Juana presterà le sue sembianze, in autoritratti già al tempo definiti di «femminismo esagerato». Ma la Romani — volitiva, indipendente, fiera — rifiuterà sempre di far parte di associazioni di
femmes peintres, rivendicando piuttosto quella che oggi si chiamerebbe parità di genere. C’è addirittura un suo quadro,
Mina da Fiesole, in cui ritrae se stessa come donna nei panni di un uomo, il celebre scultore rinascimentale da lei ammiratissimo, opera che pare davvero anticipare le moderne teorie di abbattimento del gender: un’operazione di proiezione di sé in un artista uomo del passato, che supera perfino l’ardita George Sand e i suoi celebri travestimenti.
Medaglie alle Expò, Biennali, riconoscimenti critici, quel viaggio nella sua città natale dove tornò accompagnata da Antoine Lumière, padre degli inventori del cinematografo, e da Trilussa: la vita pareva sorridere a questa artista di mondo prima che il suo, di mondo, artistico e personale, fosse travolto. Impressionismo e avanguardie spazzeranno infatti via tutto quel gusto spagnoleggiante ed estetizzante, liquidato come decadentismo e pompierismo. Poi l’insorgere della malattia, i primi disturbi che si palesano nel 1903 e il successivo internamento a Ivry-sur-Seine.
Oggi, a 150 anni dalla nascita, per la prima volta in Italia Juana Romani è ricordata con questa selezione di documenti, foto, sculture e dipinti a ricordare sia la modella sia la pittrice. Tra questi, il grande
Ritratto che le fece Ferdinand Roybet, suo amore e compagno, l’enigmatica Figlia di Teodora e le tante donne da lei ritratte.