Corriere della Sera (Roma)

LE DISTANZE TRA CITTÀ E CULTURA

- di Giuseppe Pullara

Roma è una città ricca di risorse intellettu­ali. Conta sulla più frequentat­a (115 mila studenti) università d’Europa, su altri due atenei statali (Tor Vergata e Roma Tre), su una serie di altre università private (Luiss, Lumsa, ecc.) e straniere, a cominciare dalla Gregoriana. Poi ci sono le Accademie nazionali (San Luca, Lincei…) e internazio­nali concentrat­e nell’abbandonat­a e ormai indecente Valle Giulia. Numerosi gli istituti di ricerca, dal Cnr all’Agenzia Spaziale all’Istat all’Inu. Antiche bibliotech­e, musei. Se Oxford avesse il Tevere sarebbe una piccola Roma, tanto per dire quanto la nostra città rappresent­a una concentraz­ione tale di saperi da poter essere famosa solo per questo. Che collegamen­to ha tutta questa conoscenza con la nostra vita quotidiana? Per fare un esempio: da tutti questi professori che insegnano di tutto da decine d’anni cosa ne ha tratto la comunità romana? Con tutti gli architetti, gli urbanisti, i sociologi in circolazio­ne da settant’anni, ecco le nostre esemplari periferie nate male e cresciute peggio. Il «carattere» della Capitale non sembra per nulla influenzat­o da quest’enorme bacino culturale. Sembra sia sempre mancato, in era repubblica­na, un collegamen­to tra potenziali­tà e concretezz­a, tra mente e braccio. Così si spiega un quartiere come Malafede, la persistenz­a del rudere dell’ex stabilimen­to Leo sulla Tiburtina, ma anche la città impazzita quando piove. Perfino lo standard mediocre della classe dirigente.

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