La svolta nel 1939, l’acquisto nel 1971: da 45 anni è pubblica
È grande più del doppio di Villa Borghese, raggiungendo i 184 ettari ed è il parco urbano più importante di Roma.
La sua prestigiosa storia viene dal Seicento, quando papa Innocenzo X Pamphilj volle creare (1644) per la famiglia una «villa di campagna» alle porte della Città Eterna. Radunando diverse proprietà affidò ad un importante architetto, Alessandro Algardi, il compito di realizzare un gioiello architettonico a pianta palladiana, con una grande sala rotonda al centro. Altri valenti architetti come Rainaldi e Grimaldi concorsero alla realizzazione di un edificio che, per la sua posizione eminente nel contesto suburbano, fu presto detto del «Bel Respiro»: l’aria che vi correva era nettamente più salubre delle atmosfere quasi malariche del più basso intorno. Erano tempi in cui principi e nobili romani, oltre che cardinali e papi, facevano a gara per illustrare il nome delle loro famiglie con ville e palazzi straordinari.
Nel secolo precedente, Ippolito d’Este dette il via all’esibizione di ricchezza, gusto e bellezza con la formidabile Villa di Tivoli, presto affiancata da Villa Gregoriana. L’edificio principale di Villa Pamphili, chiamato Villa Nuova per distinguerlo dalla precedente Villa Vecchia, fu arricchito da giardini alla francese, da boschi, fontane, statue, laghetti. Gli interni contenevano le collezioni d’arte classica dei principi, sviluppate un secolo dopo dall’unione di due case nobili attraverso il matrimonio (1763) di Anna Pamphilj con Giovanni Andrea Doria.
Ogni espressione artistica era presente nelle sale del Casino del Bel Respiro: affreschi romani del I secolo avanti Cristo, busti, statue, bassorilievi, dipinti in mostra per stupire gli ospiti dei proprietari. Con l’annessione della contigua Villa Corsini la proprietà acquisì le dimensioni attuali passando quasi indenne attraverso la rischiosa stagione napoleonica e perfino il tempo della Repubblica Romana (1849) che vide Villa Doria Pamphili al centro degli scontri tra garibaldini e francesi. Poco dopo, Filippo Andrea V organizzò perfino una azienda agricola all’avanguardia per quei tempi. Ma il vero rischio che hanno corso i romani che da 45 anni si godono la Villa si è avuto nel 1929, quando con i Patti Lateranensi qualcuno pensò di trasformarla in territorio del Vaticano. Non se ne fece nulla, all’ultimo minuto delle trattative, e il parco di lì a qualche anno cominciò ad essere acquisito dal Comune (1939) che concluse l’operazione nel 1971 aprendolo alla città l’anno dopo. Lo Stato aveva già acquistato dai principi il nucleo monumentale nel 1957. Il Casino e una parte dei giardini sono da tempo residenza di rappresentanza del governo italiano.
Il progressivo passaggio del parco e dei suoi edifici dalla principesca famiglia Doria Pamphilj, che ha il merito di aver conservata quasi intatta la proprietà lungo i secoli, alla fruizione pubblica ha in qualche modo favorito l’acquisizione –attraverso acquisti ed espropri- di altre Ville romane (Carpegna, Ada, Torlonia, Caffarella, ecc.) per dotare la città di aree verdi a disposizione dei cittadini.
Dagli anni Settanta a quelli più recenti (con Villa Albani) il Campidoglio si è impegnato a fasi alterne in una politica sociale del verde disponibile. Fino all’abbandono del tempo presente, nel quale alcuni gioielli storico-ambientali della Capitale ne sono diventati la vergogna.
Le trattative Nel 1929 con i Patti Lateranensi qualcuno pensò di trasformarla in territorio Vaticano