«Il palco mi fa stare bene»
Il cantautore Motta in concerto al Carroponte
«Una botta incredibile». Motta descrive così l’emozione che lo ha travolto al ritorno sul palco dopo quasi due anni. «Ho iniziato a fare concerti a 18 anni, non mi era mai successo di smettere per così tanto, suonare dal vivo è indispensabile per la mia salute mentale», dice il cantautore toscano, stasera al Carroponte con il nuovo disco «Semplice», uscito a fine aprile e coprodotto da Taketo Gohara: una miscela di pop cantautorale e rock impreziosita dagli archi e non priva di chitarre acide e punte di psichedelia. Per il 34enne oggi di stanza a Roma, dove vive con la moglie, attrice Carolina Crescentini, è la terza prova solista dopo la gavetta con i Criminal Jokers e altri due album a suo nome, «La fine dei vent’anni» e «Vivere o morire», entrambi premiati con la Targa Tenco. «Questa volta ero nella cinquina dei finalisti, non ho vinto, ma va bene così, non amo la competizione né credo all’oggettività dei premi, benché inorgogliscano. L’importante è che si valorizzi l’impegno di chi fa musica in modo libero e personale, senza scopiazzare male quello che fanno all’estero».
Il tono è quello di chi è determinato a costruirsi un percorso che duri nel tempo. Anche muovendosi su più fronti: nel 2020 Francesco Motta ha pubblicato il libro «Vivere la musica» (Il Saggiatore), mentre è ora nelle sale «La terra dei figli» di Claudio Cupellini, film di cui ha composto le musiche. «Lavorare per il cinema è un modo per fare musica senza stare sotto ai riflettori, che male non fa, serve a ridimensionarsi», spiega il 34enne, già autore di altre colonne sonore, per esempio per l’horror «Letto N. 6» di Milena Cocozza (2019). «In più permette di esplorare un linguaggio che non necessariamente deve essere capito da un pubblico italiano. Nel 2013 ho frequentato un corso di Composizione per Film presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma: mi è stato utile per cogliere le dinamiche di un mestiere affine, ma diverso dallo di scrivere canzoni». E a proposito di soundtrack: «Una delle mie preferite, che mi ha ispirato per “Roma stasera” e il mio lato sonoro più aggressivo, l’ha scritta Cristobal Tapia de Veer per la serie tv britannica “Utopia”», confida Motta. Che per la sua attività di cantautore ritiene determinante il mini tour organizzato nel 2018 con Les Filles de Illighadad, gruppo femminile proveniente da un piccolo villaggio del Niger e capitanato dalla chitarrista
Tuareg Fatou Seidi Ghali. «Ricordo che alle prove, io e la mia band tentavamo di imitare il loro stile, ma non ne scaturiva nulla. È solo quando ciascuno si è messo a fare il proprio che dall’incontro di due mondi differenti è scattata la magia necessaria a dar vita a un altro mondo ancora, nuovo e unico. Ho capito così quanto l’integrazione abbia bisogno di azioni, più che di parole, e di una mentalità disposta a viaggiare. Anche metaforicamente, mettendosi in gioco, aprendosi alla sensazione di vertigine che la scoperta di ciò che è distante da noi può trasmettere».
Il cinema
«Mi piace scrivere colonne sonore: è un modo di fare musica lontano dai riflettori»