«Ero con mamma quando è morta sotto le bombe»
In audizione protetta. La donna legata all’Isis
LECCO Lo ha raccontato in lacrime. «Mia mamma è morta in un bombardamento, io ero vicino a lei. Eravamo in un campo profughi in Siria, ma non quello da cui mi hanno portato via. Non ricordo quando è successo, so solo che faceva molto caldo». Frammenti di memoria riemergono dal buco nero dove il piccolo Alvin sta cercando di relegare gli ultimi cinque anni della sua vita. Strappato dalla sua casa in un piccolo paese della Brianza lecchese, rubato agli affetti del papà e delle due sorelline quando aveva solo sei anni, rapito dalla madre Valbona, decisa ad unirsi alle fila dell’Isis.
Addestrato alla jihad, sopravvissuto al bombardamento che ha ucciso la donna, solo nell’immenso campo di Al Hol, infine riportato a casa grazie a una delicata missione di cooperazione internazionale che lo ha restituito alla famiglia. Ieri, a pochi giorni dal rientro in Italia, l’audizione protetta alla presenza di uno psicologo davanti agli investigatori del Ros, delegati dal capo del pool antiterrorismo milanese Alberto nobili e dal pubblico ministero Alessandro Gobbis, titolari del fascicolo sulla scomparsa della donna e sul sequestro del bimbo che ora ha undici anni. Alvin ha abbandonato il sorriso che lo ha accompagnato in ogni minuto da quando ha riabbracciato il padre Afrim sabato scorso, per cedere alle lacrime con cui ha raccontato l’orrore vissuto. «La mamma è morta, ero al suo fianco, sono rimasto ferito». Gli inquirenti hanno deciso di sentirlo solo per pochi minuti. Il bimbo ancora presenta, hanno spiegato, uno stato di choc molto elevato per il trauma emotivo. Lo ascolteranno ancora più avanti, ma non prima di un mese, dopo che sarà stato ricoverato e operato per la grave lesione alla gamba che ha subito proprio in seguito all’esplosione in cui ha perso la madre. «Lunedì sarà in ospedale a Milano. L’intervento non è ancora fissato. Dopo essere stato tanto a lungo senza di lui spero davvero che le cure, assolutamente necessarie, me lo portino via il meno possibile», conferma il padre Afrim, mentre guarda Alvin che esce di casa per giocare con i cuginetti. Sta provando a riprendersi la sua vita. «Mangia tanto, dorme sereno, sta bene.
Questa mattina durante l’audizione protetta per lui è stato difficile ricordare, ma è un campione, un ragazzino forte, ce la farà». L’intero paese lecchese ha adottato questa famiglia albanese e si lavora per una grande festa che potrebbe servire anche a raccogliere fondi da destinare alle principali esigenze del bambino. Alvin non vede l’ora di tornare a scuola, come aveva detto anche al suo papà durante le strazianti telefonate fatte al genitore mentre si trovava in Siria, catapultato improvvisamente nell’orrore della guerra. «Forse già a gennaio potrà essere sui banchi — spiega il sindaco del paese brianzolo dove da giorni l’esultanza per il rientro a casa del piccolo ha contagiato tutti —. Gli assistenti sociali hanno preso i primi contatti e stiamo cercando di capire in quale classe inserirlo. In teoria dovrebbe frequentare la prima media, ma non parlando più l’italiano bisogna decidere quale possa essere la soluzione migliore».
Intanto nel campo di Al Hol, che ospita oltre 70 mila persone, in gran parte compagne e figli di combattenti jihadisti morti o in prigione, vivono ancora moltissimi bambini come Alvin. Tra questi potrebbero esserci anche i tre figli di Alice Brignoli, italiana convertita all’Isis partita nel 2015 da Bulciago, sempre nel Lecchese, insieme al marito, probabilmente morto in un raid aereo.