Piccolo Teatro Studio
Milano antifascista: il coraggio delle donne
Madri, mogli, sorelle e figlie. Sono loro le protagoniste di «Matilde e il tram per San Vittore», testo e regia di Renato Sarti, che, dopo il successo della passata stagione, torna in scena da stasera al 9 giugno al Piccolo Teatro Studio Melato (via Rivoli 6, ore 19.30, biglietti € 3318). Sarti, a partire dalle testimonianze raccolte in più di vent’anni da Giuseppe Valota nel libro «Dalla fabbrica ai lager», aggiunge un nuovo tassello alle sue drammaturgie incentrate sul tema della memoria in relazione alla Seconda Guerra Mondiale, ai campi di sterminio e alla Resistenza (basti pensare ai precedenti «Mai morti», «Nome di battaglia Lia», «I me ciamava per nome: 44.787», «Goli Otok» e «Gorla fermata Gorla» e «Hermada. Strada privata»). Anche questa volta mette a fuoco un capitolo buio della nostra storia cittadina di quel periodo. Siamo nel 1943. Una serie di scioperi paralizzano gli stabilimenti dell’area nord di Milano. La reazione del governo fascista è durissima: retate spietate nelle case operaie di Sesto San Giovanni, Milano, Cinisello e dei comuni limitrofi. 570 persone vengono deportate nei lager, 223 non fanno più ritorno e per i sopravvissuti e per le loro famiglie la vita non sarà più la stessa. A raccontare sono le donne –—interpretate da Arianna Scommegna, Debora Villa, Rossana Mola, Giulia Medea ed Elisa Rusu — che, dopo l’arresto dei propri uomini, si ritrovarono improvvisamente a gestire, da sole, una quotidianità di fame e miseria. San Vittore era uno dei luoghi di detenzione dove andavano a cercare i propri cari. Così come il cinema Broletto, che nel 1947 diventerà il Piccolo Teatro, dove, mentre in sala si proiettavano film, nei camerini la Legione Ettore Muti torturava i partigiani e gli oppositori politici. «Il modo migliore per affrontare questa partita contro l’oblio — dice Sarti — mi è sembrato quello di partire dalle donne, perché, fin dalle tragedie greche, la loro voce è quella che meglio di ogni altra riesce a rievocare l’orrore della guerra».