Caro Giulio ti scrivo
Verdi, Donizetti, Puccini tra lettere e documenti: l’Archivio Ricordi digitalizzato è una vera miniera
Fino ad oggi erano custodite nei caveau della Biblioteca Braidense, accessibili solo a musicologi e filologi. Da oggi invece le oltre 31mila lettere dell’Archivio Ricordi sono facilmente consultabili da tutti perché grazie a Bertelsmann, che nel 1994 ha acquistato l’Archivio, sono state messe online: scansionate, trascritte, tradotte in inglese e arricchite di un apparato multimediale che permette di collegare parole chiave alle altre lettere in cui compaiono nonché alle voci dell’Enciclopedia Treccani e del Dizionario biografico degli Italiani e alle immagini dei luoghi. Un patrimonio che si aggiunge a quanto già messo online due anni fa: 10mila libretti e 7.800 partiture originali, manoscritte e autografe, di 600 opere, 6mila fotografie, 13.500 tra bozzetti teatrali, figurini, disegni di scena e costumi a colori in gran parte usati per anteprime mondiali. L’importanza di una tale iniziativa è enorme: non si tratta di mere curiosità da eruditi, ma della possibilità di poter «spiare» la nascita di alcuni grandi capolavori, le dispute e i problemi che emergevano nell’allestirli, la diplomazia cui i Ricordi dovevano spesso ricorrere con i compositori per sollecitare la conclusione di una partitura. Perché i Ricordi, il mitico Giulio e il figlio Tito in primis, furono la grande dinastia che pubblicò le opere di Verdi, Puccini, Bellini, Donizetti, una potenza editoriale fondata nel 1808 che influenzò il mondo musicale italiano e internazionale per un secolo e mezzo. In particolare sono state messe online tutte le lettere scambiate tra il 1888 e il 1962. Il 28 aprile 1889 Giulio scrive a Puccini di sbrigarsi, di non aggiungere note ma tagliarle (non ha dormito la notte per il timore che «si lasci trascinare dalla di lei esuberante natura musicale, e così aggiunge anziché levare») perché l’«Edgar» deve andare in scena e «capisco benissimo il di lei bisogno e desiderio di fiatare liberamente otto giorni fuori di Milano», ma Ricordi deve «immediatamente preparare il materiale pel teatro. Se Ella si assenta prima di fare tutto ciò è necessario rinunciare alla ripresa d’Edgar... perdio, non si è Puccini per niente, non si è nel fiore della vita per temere di queste e di cose ancora più forti e gravi».
Emerge la statura dell’editore che intesse un rapporto non solo artistico o imprenditoriale, ma umano (le lettere sono rivolte a «Mio caro Giacomo», «Puccinone»…); che non lesina allusioni mordaci ad esempio verso D’Annunzio («Ma come mai hai potuto credere che Gabriele avrebbe collaborato, sulla base di un terzo dei diritti, con altri due autori? Questa sola ed unica considerazione mi pare avrebbe dovuto toglierti qualunque illusione!!», scriveva da Parigi parlando dalla «Manon Lescaut») e che freme da vero melomane aspettando il finale di «Bohème»: «E la povera nostra Mimì è spirata? Mi viene il male di pancia dalla curiosità di udire ed ammirare. Quel principio del 4° atto è stupendo. Sono qui colla bocca già aperta per urlare: Viva Puccini».
Aspettando Bohème «E la povera Mimì è spirata? Quel principio del IV atto è stupendo: viva Puccini!»