Lodi, «schiscetta etnica» a scuola Il provveditore: situazione inedita
Continua la protesta delle famiglie straniere a cui il Comune nega le tariffe sociali
LODI «Voglio anch’io mangiare a scuola come i miei compagni», recitava venerdì pomeriggio il cartello di una piccola egiziana. E come lei gli altri 130 studenti «scioperanti» ieri mattina sono rientrati a scuola dopo tre giorni di protesta contro il regolamento del Comune di Lodi che nega l’accesso alle tariffe agevolate di mense e scuolabus in assenza di documentazione supplementare che attesti proprietà e redditi nei paesi di origine. Rientrati, ma la protesta va avanti a oltranza. Come forma di resistenza all’amministrazione leghista di Sara Casanova alcuni genitori hanno deciso di continuare a pagare il buono mensa scontato dello scorso anno (2,20 euro al giorno per la fascia più bassa), col rischio poi di un accertamento del Comune; la maggior parte dei genitori invece ha seguito il consiglio dell’associazione Al Rahma di mandare i figli a scuola con la «schiscetta etnica» dopo la sentenza del Consiglio di stato che ha «liberalizzato» il panino da casa. «Due presidi — afferma il portavoce di Al Rahma Abdelrahman Mohamed — hanno dato il permesso, gli altri no. In 27 sono riusciti a mangiare in classe». «Non posso più pagare quelle cifre — racconta l’egiziana Malak — e a mio figlio ho preparato il cestino: cotoletta di pollo, insalata e una banana. Farò così anche domani». Il Comune ha convocato d’urgenza (venerdì 21 settembre) i dirigenti scolastici per discutere la situazione. «Il regolamento non sarà cambiato — chiarisce l’assessore all’Istruzione Giusy Molinari —, ma il pasto da casa può essere una soluzione se verranno rispettate tutte le prescrizioni, ferma l’autonomia degli istituti scolastici di consentirlo o meno». La situazione «di disparità nei confronti dei ragazzi stranieri» non piace a molti genitori italiani, infastiditi dal regolamento leghista.
«Ci crea imbarazzo», affermano Laura Ferrari (scuole Archinti) e Fabrizio Messina. «Ho iscritto i miei figli in una scuola con tanti bambini stranieri — spiega Paolo Curti, ex bomber lodigiano del Fanfulla — perché voglio insegnare loro i valori della multiculturalità. Che valori stiamo insegnando oggi?». E Isabella Bossi ha sperimentato di persona quanto in alcuni Paesi stranieri sia difficile reperire i documenti: «Vado in Senegal da 15 anni, in certi villaggi non sanno nemmeno cosa sia l’anagrafe catastale».
Ma in tanti sostengono la scelta di palazzo Broletto: «Le regole sono uguali per tutti, anche gli stranieri devono rispettarle», affermano in coro mentre attendono i loro bambini.
E se i presidi in parte minimizzano lo sciopero («Nei plessi che dirigo gli stranieri superano il 25% e solo sei sono stati gli assenti», afferma Stefania Menin del comprensivo Lodi Terzo) l’associazione Al Rahma snocciola i dati dell’astensione scolastica: «120 alunni i primi due giorni, 131 il terzo». «L’unico principio che interessa all’istituzione scolastica — chiarisce il provveditore di Milano e Lodi Iuri Coppi — è che non mandare i figli a scuola crea un gap educativo ed una protesta sul filo della legittimità. Ma una situazione del genere, come dirigente, non mi era mai capitata».