«Beveva il caffè da noi Al nido botte a mio figlio»
Gavirate, il video choc. Il papà: donna insospettabile, beveva il caffè a casa nostra
I video delle prepotenze. Le urla. La ciabatta lanciata in aula. Come in un film: «Choc all’asilo». Solo che l’asilo è vicino a casa, il bersaglio è tuo figlio e la maestra ripresa nei video è più di una conoscente, quasi un’amica di famiglia. «Un conto è vederle in televisione, quelle scene. Un altro è rendersi conto che quello a cui è arrivata la ciabatta in faccia è il tuo bambino. Il mio. Quando l’ho visto mi si è gelato il sangue e ho pensato a quando incontrerò quella donna per strada. Lì faremo i conti».
Filippo ha 39 anni e due figli, un maschietto di due anni e mezzo e una bimba di 6. Lavora a poche centinaia di metri dal nido privato ora chiuso nel centro di Gavirate, ordinata cittadina del Varesotto sulle sponde del lago. La testimonianza di questo genitore è importante per capire i tanti retroscena che possono nascondersi dietro un fatto di cronaca grave e che vede implicate figure che assieme a quelle dei genitori rappresentano l’esempio per lo sviluppo dei bambini: sono le educatrici, che ogni giorno accudivano anche i figli di Filippo.
Il punto è che mai questo papà e la sua compagna avevano avuto il sospetto che qualcosa in questo nido privato andasse storto, anche alla luce del rapporto di grande confidenza instaurato con la responsabile della struttura.
Mai un lamento dei piccoli, con la figlia più grande spesso lasciata con il fratellino anche il sabato, «e mai un segno visto addosso al più piccolo, che rimaneva con le maestre fino a otto ore al giorno», racconta il papà. Maestre che avevano dalla loro due carte importanti: massima disponibilità e prezzi del servizio decisamente abbordabili.
«Mi è capitato di lavorare il 26 dicembre e lei, la responsabile, apriva l’asilo apposta; lo stesso avveniva in orari particolari. È capitato di lasciare il bambino anche molto presto al mattino: “Non c’è problema Filippo, vai tranquillo“. E io mi fidavo».
La maestra, insomma, era di famiglia: la sera prima dell’operazione dei carabinieri che ha fatto scattare l’arresto, la trentaduenne alla guida del centro era addirittura a casa dei genitori dei suoi piccoli «clienti».
«Martedì sera alle 18.30 abbiamo bevuto il caffè insieme: le avevo lasciato mia figlia, erano state in piscina nel pomeriggio. Insomma: ho fatto entrare in casa la persona che il giorno dopo è stata arrestata. Non posso crederci». Passi per un bimbo di due anni e mezzo, che ancora può faticare ad esprimersi, ma per la bambina di sei anni? Possibile che nessuna lamentela fosse emersa?
«Nulla. E mio figlio, che compirà tre anni a metà ottobre, è molto bravo a farmi capire se qualcuno non gli va a genio: si aggrappa ai pantaloni e mi strattona; nulla di tutto ciò quando c’era da andare all’asilo». Poi il racconto di questo padre si ferma per qualche secondo, riflette: «Non voglio credere di aver tenuto il mio bimbo per due anni in un posto dove veniva maltrattato. Nel video si vede chiaramente che non stava facendo nulla e a questo punto non so che pensare: siamo di fronte a un episodio sporadico? O l’andazzo lì dentro era quello di sgridare i bambini a tal punto da far loro accettare comportamenti al limite, e tali da non farli neppure muovere?».
Filippo ora si sente di lanciare un appello: «Proprio due giorni fa vidi le immagini della casa di riposo di Arezzo, dove gli anziani venivano maltrattati. Ora la stessa cosa la sto provando sulla mia pelle, e mi chiedo: perché non pensare a una legge che preveda l’utilizzo di telecamere dove vengono curati anziani e bambini? Chi porta i figli all’asilo non vuole “sbarazzarsene”, ma affidarli a persone che si prendono cura di loro. Se potessi permettermi di non lavorare, mio figlio lo curerei di persona. E non a ciabattate in faccia».