«Io mi faccio il museo»
Macchine per cucire, bambole e pompe di benzina Storie di collezioni uniche valorizzate in famiglia Per eredità, passione o grazie a raccolte fondi online
La più antica del lotto è una Singer costruita in onore della Regina Margherita nel 1890. La sovrana, ritratta sulla base della macchina per cucire, sorveglia la sarta attenta a far scorrere il tessuto sotto al filo. In quanto parte di una serie limitata, era già un pezzo da collezione ancora prima di diventarlo. Oggi è il fiore all’occhiello dell’intera raccolta di Giovanni Baldin da Robbio, Pavia, uno capace di mettere insieme oltre mille pezzi industriali in 40 anni. Insieme con la figlia Giuliana, in nome della moglie Vivetta, oggi scomparsa. Per business (ritiravano vecchi apparecchi in cambio di nuovi) ma anche per inclinazione («papà colleziona di tutto» giura Giuliana). Trecento e passa macchine sono oggi esposte in uno spazio pubblico del Comune vicino alla scuola media del paese, almeno altrettanti sono in attesa di collocazione. Altre centinaia, quelli a pedale, sono state inviate negli anni in Africa per beneficenza dato che Robbio, presidente della Repubblica dixit, è la «capitale del volontariato». E infatti Giuliana e impegnata in Comunità Betania onlus e Confcooperative. «È incredibile il seguito che stiamo avendo. Ci scrivono da tutta Italia per donarci dei pezzi. Ora ci siamo iscritti a una piattaforma di crowdfunding (Produzionidalbasso) per riuscire a trovare una sede adatta a una raccolta speciale».
Una sede se la sono conquistata negli anni Guido Fisogni con la moglie Uberta, una cascina settecentesca a Tradate, inclusa in questi giorni negli itinerari delle giornate del Fai (fino al 2016 si trovava in un capannone industriale a Palazzolo Milanese). La loro collezione è davvero unica. Riunisce decine e decine di pompe di benzina raccolte nel giro di cinquant’anni in tutto il mondo. Da tempo, è diventata meta di spedizioni di giovani aspiranti ingegneri americani pagati dalle università Usa. Tra i mattoni rossi restaurati, si trovano quasi 200 esemplari di distributori, tutti d’antan (il più antico ha quasi 130 anni, quasi «coetaneo» della Singer della Regina), più migliaia di gadget. E anche qui c’è quella della Regina. Inglese stavolta, queen Victoria, e il suo distributore a Buckingham Palace. Una collezione totalmente autofinanziata — l’ingresso è gratuito, al massimo si chiede un’offerta — poiché snobbato dalle istituzioni che alla fine degli anni Novanta, hanno rifiutato il dono offerto dal Fisogni: «Troppo moderno».
Salto in avanti di qualche chilometro e indietro di qualche anno. È il 1959 quando Luigi Crespi acquista il suo primo bonsai, un Ginkgo biloba, embrione del Crespi bonsai Museum di Parabiago, nato nel 1991 e oggi inserito nel circuito dei Grandi Giardini italiani e celebrato anche dai maestri nipponici. Un’esposizione da 600 metri quadrati, a cui se ne aggiungono mille di giardini, la più vasta fuori dal Giappone. Registra diecimila visitatori all’anno. «Abbiamo 200 esemplari di piante — spiega Susanna, figlia del fondatore Luigi — tra questi anche un millenario Ficus retusa Linn. La collezione richiede le cure di nove persone, con la consulenza del guru Nobuyuki Kajiwara». Costo di gestione di circa 25mila euro all’anno.
Sigilli nobili anche per il Museo della bambola e del giocattolo allestito nella rocca di Angera, sul lago Maggiore. La principessa Bona Borromeo Arese lo fondò nel 1988 e ancora oggi è in mano alla famiglia, che se ne accolla le spese. Oltre mille pezzi dal XVIII secolo a oggi sono distribuiti in 12 sale. Gli esemplari sono realizzati in legno, cera, cartapesta, porcellana, tessuto e provengono da tutto il mondo. Aperta a Grandate (Como), invece, la «Scuderia dei sogni». Pietro Catelli, fondatore del gruppo Artsana (Chicco), dà vita al museo del cavallo a dondolo. «Oggi l’esposizione conta 670 giocattoli — spiega Lara Giamminola, responsabile didattica — e totalizza diecimila ingressi l’anno». I visitatori contribuiscono a rendere più ampia la collezione con le loro donazioni. Il cavallo più grande è Roberto, alto cinque metri, usato per girare Pinocchio. A far quadrare i conti ci pensa l’azienda, che impiega tre persone per gestire le attività.