Gli italiani in fuga e la babele degli affitti La resa dei postini nelle Indie di via Imbonati
Venditori di rose e fattorini: cingalesi e bengalesi tornano a casa tardi nei palazzi fatiscenti La «resa» dei postini, la fuga degli italiani e i lucchetti ai passeggini
Biciclette accatastate. Case sovraffollate in subaffitto. Lucchetti ai passeggini. Postini che si arrendono. La fuga degli italiani. Venditori di rose, camerieri e corrieri. Benvenuti nelle «Indie» di via Imbonati (foto Ummarino).
Non fanno altro che trafficare. La piccola signora appoggia l’ombrello rosso sul marciapiede, alza la saracinesca del bar ed entra a sistemare i tavolini voltandosi sospettosa. Dietro la finestrella che sembra l’oblò d’una nave, due panettieri scrutano le curve delle brioche appena sfornate. Un ragazzo venditore di rose apre il portone spingendolo con il ginocchio, ha soltanto una mano libera, l’altra è impegnata dai fiori che adesso a fine turno sono storti e cadenti. Cingalesi. Bengalesi. Le «Indie» di via Imbonati. Dove le vecchie case di ringhiera girano su se stesse, alla scoperta di nuovi inquilini che non danno riferimenti, vanno, vengono, spariscono conservando identica la nazionalità; un moto perpetuo di targhette (di carta e scritte a penna) coi cognomi che si avvicendano sulle cassette delle lettere, si sovrappongono come i manifesti dei politici prima delle elezioni, per la confusione dei postini che all’ennesimo tentativo si arrendono, depositano e se ne vanno sconfortati con le buste che cadono, si inzuppano, vengono aperte e buttate. A una donna la Coop domanda (la richiesta è datata settembre): «Da quanto non utilizzi la tua cartasocio?». A un uomo la Wind manda la fattura della vendita del cellulare. A un altro uomo un avvocato ricorda che quando era stato autista in una ditta aveva preso 92 euro di multe, scelga lui se versare i soldi con bonifico bancario o su conto corrente postale, ma si ricordi che deve pagare entro dieci giorni. La scadenza è già stata superata: il tempo, in via Imbonati, è una concezione relativa. Specie se ci si muove in bicicletta per andare al lavoro. In bici perché si risparmia; e perché comunque dopo una certa ora i mezzi pubblici smettono di circolare, sicché pedali oppure cammini. Non siamo nelle «Indie» per cercare il male. Come avvenuto nelle precedenti puntate (sabato in via Gola, domenica a San Siro e ieri al Corvetto), la Milano in modalità profondo-notte toglie punti di riferimento, orienta percorsi e porta da chi c’è. Sul Naviglio Pavese gli spacciatori erano le uniche presenze mentre in piazzale Ferrara il bar «Il Girasole» l’unico aperto; e qui in via Imbonati, il bengalese S. all’esterno del ristorante Tajmahal attende che l’amico finisca di pulire la cucina per andare a dormire. Con una punta di civetteria ed evidente orgoglio, S. dice che fa il cameriere a Sant’Agostino ma che purtroppo deve accontentarsi di quello che ha. «Abito qua sopra al secondo piano. Siamo in tre in un bilocale di un italiano, paghiamo settecento euro al mese». A breve potrebbero raddoppiare. «Sono in Italia da dodici anni e rimarrò per sempre. Sto cercando di fare il ricongiungimento con mia moglie e i due figli. Forse ci vorrà qualche mese ma sono fiducioso». Sei inquilini, dieci, venti: se ci sarà sovraffollamento, a quel proprietario probabilmente non fregherà niente. L’importante è piazzare l’appartamento, intascare magari in nero (al proposito S. non conferma né smentisce) e poi forse lamentarsi, ripetere che il quartiere fa schifo in quanto pieno di immigrati e accusare le istituzioni, le forze dell’ordine, Berlusconi e Renzi, Moratti, Pisapia e Sala, d’aver abbandonato le periferie. Il buon S. suggerisce un giro nel palazzo di fronte al civico 9: «Vedi quello e capisci la via». Il portone, socchiuso, conduce a una serie di cortili piccoli e grandi. L’antico ingresso in travi bianche di legno ha un ampio punto rovinato e forse pericolante. I portici sono utilizzati per proteggere il bucato sugli stendini, ci sono le magliette da calcio dei bimbi e le divise dei corrieri dei trasporti. Gli intonaci sono grattugiati dalla mancata manutenzione. La raccolta differenziata è fantascienza. Ci sono già delle stelle di Natale forse rimaste dall’anno scorso. Paurose crepe attraversano le scale. Piegato sotto il cappuccio, il passo lento, un residente, un signore dall’età indefinita uscito per fumare, saluta cordialmente e, come aveva fatto S. con questo palazzo, consiglia di buttare un occhio a quello a fianco che ugualmente «racconta bene» le «Indie». Il civico 11 ha per cominciare le catene. Catene per attaccare i passeggini alle ringhiere casomai li rubino. Sono lucchetti più forti e resistenti di quelli agganciati alle biciclette. Tra i due civici, il 9 e l’11, sul marciapiede un ragazzo vaga in stato confusionale. Si avvicina a una macchina, schiaccia invano il pulsante sul mazzo delle chiavi, scuote la testa, di colpo sorride, corre sul lato opposto e le luci di una Panda si illuminano: «Mi sono fatto ingannare dal colore, sono tutte e due nere... Cercavo di aprire un’auto non mia. Io so bene che sono modelli diversi, ma sono stanco... Dò una mano a un imbianchino però sono bravo anche come muratore... Sto partendo per un cantiere a Peschiera del Garda... Guido piano, bevo un caffè all’Autogrill, gioco un gratta e vinci e per le sei sono arrivato. Domani e dopodomani c’è lavoro, più avanti davvero non ne ho idea». Fa freddo, accende il riscaldamento ma tiene addosso il giubbotto. Gli spazzini dell’Amsa passano davanti a un’infilata di negozi, una parrucchiera, una tavola calda, una paninoteca-grill-kebab. Non passano guardie giurate, nessuno ha aperto un contratto con società di vigilantes. Ci sono telecamere di sorveglianza accanto ad alcuni portoni dei condomìni e ci sono avvisi per ricordare che certi tratti di via Imbonati sono protetti dagli allarmi. Ma contro quale eventuale invasore? Neanche sostano i barboni. Il locale coi distributori automatici di bevande, aperto ventiquattr’ore, resta deserto per cinquanta minuti. Il primo cliente è un ragazzo scaricato da una Toyota Corolla con i vetri appannati: per forza, sono su in otto. Il ragazzo è ubriaco, barcolla, lo aiutano a comprare una bottiglia d’acqua infilando nella fessura i sessanta centesimi, a girare le chiavi nella serratura e incamminarsi per la scala giusta. A missione completata il guidatore rimette la cintura, toglie le quattro frecce e procede verso i colorati, nuovi palazzi del «Maciachini center». Sono sedi di bar glamour, famose palestre, prestigiosi uffici, attrezzati negozi per cani, ristoranti-bio con affezionata clientela. Se chiederete ai frequentatori, racconteranno l’atroce fatica una volta sbucati dal metrò nel percorrere ogni santo giorno la strada trattenendo fiato, respiro e portafoglio. Se chiederete a S., risponderà così: «Io preferisco la zona di Sant’Agostino, è molto più bella di questa». Se per concludere chiederete a gente di mondo, risponderà che alla fine ci si incontra tutti comunque: nei negozi cinesi riparare un iPhone costa meno; ed è in qualche tugurio di via Imbonati (affittato da un italiano o subaffittato da uno straniero, si capisce, non fa differenza) che ricevono le dimesse, povere prostitute cinesi ferme in via Farini vicino al McDonald’s, in cerca di pensionati che vogliono risparmiare pure su un bacio o su una carezza.