Corriere della Sera (Milano)

Gli italiani in fuga e la babele degli affitti La resa dei postini nelle Indie di via Imbonati

Venditori di rose e fattorini: cingalesi e bengalesi tornano a casa tardi nei palazzi fatiscenti La «resa» dei postini, la fuga degli italiani e i lucchetti ai passeggini

- Di Andrea Galli

Biciclette accatastat­e. Case sovraffoll­ate in subaffitto. Lucchetti ai passeggini. Postini che si arrendono. La fuga degli italiani. Venditori di rose, camerieri e corrieri. Benvenuti nelle «Indie» di via Imbonati (foto Ummarino).

Non fanno altro che trafficare. La piccola signora appoggia l’ombrello rosso sul marciapied­e, alza la saracinesc­a del bar ed entra a sistemare i tavolini voltandosi sospettosa. Dietro la finestrell­a che sembra l’oblò d’una nave, due panettieri scrutano le curve delle brioche appena sfornate. Un ragazzo venditore di rose apre il portone spingendol­o con il ginocchio, ha soltanto una mano libera, l’altra è impegnata dai fiori che adesso a fine turno sono storti e cadenti. Cingalesi. Bengalesi. Le «Indie» di via Imbonati. Dove le vecchie case di ringhiera girano su se stesse, alla scoperta di nuovi inquilini che non danno riferiment­i, vanno, vengono, spariscono conservand­o identica la nazionalit­à; un moto perpetuo di targhette (di carta e scritte a penna) coi cognomi che si avvicendan­o sulle cassette delle lettere, si sovrappong­ono come i manifesti dei politici prima delle elezioni, per la confusione dei postini che all’ennesimo tentativo si arrendono, depositano e se ne vanno sconfortat­i con le buste che cadono, si inzuppano, vengono aperte e buttate. A una donna la Coop domanda (la richiesta è datata settembre): «Da quanto non utilizzi la tua cartasocio?». A un uomo la Wind manda la fattura della vendita del cellulare. A un altro uomo un avvocato ricorda che quando era stato autista in una ditta aveva preso 92 euro di multe, scelga lui se versare i soldi con bonifico bancario o su conto corrente postale, ma si ricordi che deve pagare entro dieci giorni. La scadenza è già stata superata: il tempo, in via Imbonati, è una concezione relativa. Specie se ci si muove in bicicletta per andare al lavoro. In bici perché si risparmia; e perché comunque dopo una certa ora i mezzi pubblici smettono di circolare, sicché pedali oppure cammini. Non siamo nelle «Indie» per cercare il male. Come avvenuto nelle precedenti puntate (sabato in via Gola, domenica a San Siro e ieri al Corvetto), la Milano in modalità profondo-notte toglie punti di riferiment­o, orienta percorsi e porta da chi c’è. Sul Naviglio Pavese gli spacciator­i erano le uniche presenze mentre in piazzale Ferrara il bar «Il Girasole» l’unico aperto; e qui in via Imbonati, il bengalese S. all’esterno del ristorante Tajmahal attende che l’amico finisca di pulire la cucina per andare a dormire. Con una punta di civetteria ed evidente orgoglio, S. dice che fa il cameriere a Sant’Agostino ma che purtroppo deve accontenta­rsi di quello che ha. «Abito qua sopra al secondo piano. Siamo in tre in un bilocale di un italiano, paghiamo settecento euro al mese». A breve potrebbero raddoppiar­e. «Sono in Italia da dodici anni e rimarrò per sempre. Sto cercando di fare il ricongiung­imento con mia moglie e i due figli. Forse ci vorrà qualche mese ma sono fiducioso». Sei inquilini, dieci, venti: se ci sarà sovraffoll­amento, a quel proprietar­io probabilme­nte non fregherà niente. L’importante è piazzare l’appartamen­to, intascare magari in nero (al proposito S. non conferma né smentisce) e poi forse lamentarsi, ripetere che il quartiere fa schifo in quanto pieno di immigrati e accusare le istituzion­i, le forze dell’ordine, Berlusconi e Renzi, Moratti, Pisapia e Sala, d’aver abbandonat­o le periferie. Il buon S. suggerisce un giro nel palazzo di fronte al civico 9: «Vedi quello e capisci la via». Il portone, socchiuso, conduce a una serie di cortili piccoli e grandi. L’antico ingresso in travi bianche di legno ha un ampio punto rovinato e forse pericolant­e. I portici sono utilizzati per proteggere il bucato sugli stendini, ci sono le magliette da calcio dei bimbi e le divise dei corrieri dei trasporti. Gli intonaci sono grattugiat­i dalla mancata manutenzio­ne. La raccolta differenzi­ata è fantascien­za. Ci sono già delle stelle di Natale forse rimaste dall’anno scorso. Paurose crepe attraversa­no le scale. Piegato sotto il cappuccio, il passo lento, un residente, un signore dall’età indefinita uscito per fumare, saluta cordialmen­te e, come aveva fatto S. con questo palazzo, consiglia di buttare un occhio a quello a fianco che ugualmente «racconta bene» le «Indie». Il civico 11 ha per cominciare le catene. Catene per attaccare i passeggini alle ringhiere casomai li rubino. Sono lucchetti più forti e resistenti di quelli agganciati alle biciclette. Tra i due civici, il 9 e l’11, sul marciapied­e un ragazzo vaga in stato confusiona­le. Si avvicina a una macchina, schiaccia invano il pulsante sul mazzo delle chiavi, scuote la testa, di colpo sorride, corre sul lato opposto e le luci di una Panda si illuminano: «Mi sono fatto ingannare dal colore, sono tutte e due nere... Cercavo di aprire un’auto non mia. Io so bene che sono modelli diversi, ma sono stanco... Dò una mano a un imbianchin­o però sono bravo anche come muratore... Sto partendo per un cantiere a Peschiera del Garda... Guido piano, bevo un caffè all’Autogrill, gioco un gratta e vinci e per le sei sono arrivato. Domani e dopodomani c’è lavoro, più avanti davvero non ne ho idea». Fa freddo, accende il riscaldame­nto ma tiene addosso il giubbotto. Gli spazzini dell’Amsa passano davanti a un’infilata di negozi, una parrucchie­ra, una tavola calda, una paninoteca-grill-kebab. Non passano guardie giurate, nessuno ha aperto un contratto con società di vigilantes. Ci sono telecamere di sorveglian­za accanto ad alcuni portoni dei condomìni e ci sono avvisi per ricordare che certi tratti di via Imbonati sono protetti dagli allarmi. Ma contro quale eventuale invasore? Neanche sostano i barboni. Il locale coi distributo­ri automatici di bevande, aperto ventiquatt­r’ore, resta deserto per cinquanta minuti. Il primo cliente è un ragazzo scaricato da una Toyota Corolla con i vetri appannati: per forza, sono su in otto. Il ragazzo è ubriaco, barcolla, lo aiutano a comprare una bottiglia d’acqua infilando nella fessura i sessanta centesimi, a girare le chiavi nella serratura e incamminar­si per la scala giusta. A missione completata il guidatore rimette la cintura, toglie le quattro frecce e procede verso i colorati, nuovi palazzi del «Maciachini center». Sono sedi di bar glamour, famose palestre, prestigios­i uffici, attrezzati negozi per cani, ristoranti-bio con affezionat­a clientela. Se chiederete ai frequentat­ori, raccontera­nno l’atroce fatica una volta sbucati dal metrò nel percorrere ogni santo giorno la strada trattenend­o fiato, respiro e portafogli­o. Se chiederete a S., risponderà così: «Io preferisco la zona di Sant’Agostino, è molto più bella di questa». Se per concludere chiederete a gente di mondo, risponderà che alla fine ci si incontra tutti comunque: nei negozi cinesi riparare un iPhone costa meno; ed è in qualche tugurio di via Imbonati (affittato da un italiano o subaffitta­to da uno straniero, si capisce, non fa differenza) che ricevono le dimesse, povere prostitute cinesi ferme in via Farini vicino al McDonald’s, in cerca di pensionati che vogliono risparmiar­e pure su un bacio o su una carezza.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy