La Verdi alla Scala guidata da Bignamini
Jader Bignamini tra Musorgskij e Rimskij-Korsakov
«La stagione non è mai finita, ma questo concerto è sempre un nuovo inizio e qualcosa di speciale: l’orchestra ha un’energia unica. Quante altre formazioni riuscirebbero a reggere i ritmi della Verdi?». Nella domanda c’è tutto l’orgoglio di Jader Bignamini nel dirigere domani il concerto della Verdi alla Scala: tradizionalmente segnava l’inizio della nuova stagione, ma l’estate Expo non ha conosciuto pause e l’orchestra ha continuato imperterrita ad offrire tre concerti per tutto luglio e agosto. «Non ho sentito nessuno lamentarsi, e lo dico io che mi sono fatto le mie vacanze: da giugno ad agosto sono stato al Santa Fè Opera Festival, tra le prove e le nove recite di Rigoletto ho girato parecchio, anche una settimana in Messico», confessa Bignamini, ex clarinetto piccolo proprio della Verdi e oggi sempre più lanciato nella carriera direttoriale. «Giovedì sono stati presentati i dati dei fondi erogati dal Fus e dello stato economico della Verdi, che è – diciamo – complicato; è una situazione che si è già presentata, ma mi colpisce come anche su questo aspetto non prevalga il lamento ma la voglia da parte dei musicisti di dimostrare che loro ci sono e sono bravi; anche questo spiega la convinzione e l’energia che ci stanno mettendo per preparare questo concerto».
Di certo intensità e coinvolgimento sono elementi indispensabili a fronte di un programma monumentale e suggestivo che accosta i Quadri di un’esposizione di Musorgskij a Sheherazade di Rimskij-Korsakov: «Brani quanto mai noti al pubblico e alla stessa orchestra, che li ha eseguiti più volte; il difficile è non scadere nella rutine senza ricorrere al colpo fine a se stesso, far suonare l’opera come cosa fresca rimanendo fedeli al suo spirito; come? Ubbidendo alle note. Spesso si ascoltano esecuzioni anche belle, ma poi se le si confronta con la partitura ci si accorge che il direttore si è preso parecchie libertà. Nei Quadri ad esempio Ravel cambia la percezione del vecchio carro russo ritratto in Bydlo: nell’originale pianistico la scena è statica, qui lo si sente avvicinare con un continuo crescendo orchestrale che culmina in un forte parossistico dove risuona anche il rullante, poi si allontana e tutto sfuma. Anche nell’ultima scena di Sheherazade, il mercato di Bagdad, c’è un crescendo simile, ma qui tutto svanisce in un attimo, come se fosse stato un sogno: l’effetto è magico».
Il maestro «L’orchestra vive un momento complicato, ma su tutto prevale la passione dei musicisti»