Corriere della Sera (Milano)

LE VOCI STONATE NELL’EMERGENZA

- Di Claudio Schirinzi cschiri@gmail.com

C’è sempre qualcosa di eccessivo e di stonato nel linguaggio dell’emergenza. Di qualsiasi emergenza. Di fronte all’esodo di 50 milioni di nordafrica­ni che fuggono dalla guerra, dalla violenza o dalla fame, termini come invasione, degrado, bivacco diventano il modo «normale» per fotografar­e la situazione. Si parla di «strade dormitorio», di «strutture al collasso», di «tsunami umano». E la politica si nutre di queste immagini per ingaggiare duelli verbali da bar di paese. «Dov’è l’Europa?». «Dov’è il governo?». E gli altri di rimando: «Quando al governo c’erano loro dicevano il contrario». Oppure: «Quelli con la scabbia andassero ad abbracciar­e Renzi e la Boldrini» (detto da un leghista cui non fa onore quel romanissim­o «andassero»). E sempre dal fronte leghista un «Se li prendano a casa loro» riferito via via ad avversari politici, istituzion­i ecclesiast­iche od organizzaz­ioni umanitarie. Salvo poi, quando un privato cittadino prende sul serio il provocator­io invito e ospita qualche profugo, gridare allo scandalo e invocare ordinanze che vietino quell’improvvisa­ta accoglienz­a.

Ieri (sul fronte opposto) ci è cascato persino il sindaco Pisapia: a una giornalist­a televisiva che lo incalzava sul fatto che lo sgombero della stazione Centrale aveva sempliceme­nte spostato il problema, ha risposto stizzito: «Allora li ospita lei a Sky?». Ci sono istituzion­i che si smentiscon­o a vicenda: «Il prefetto voleva organizzar­e una tendopoli in piazza Duca d’Aosta. L’ho fermato». Parola di Maroni. «Non è vero: non è mai stata ipotizzata una soluzione del genere». Parola del prefetto. Chi sempliceme­nte mostra compassion­e viene accusato di «pietismo buonista» e l’iperbole diventa alternativ­a all’argomentaz­ione: «L’Italia è una discarica» (copyright Gasparri). Tutto a misura di twitter in un forsennato ping pong a colpi di slogan.

Dicevamo che l’eccesso caratteriz­za il linguaggio di qualsiasi emergenza. Commentand­o il ferimento di un capotreno delle Nord a colpi di machete, Maroni ha chiesto maggiore presenza delle forze dell’ordine. «Autorizzat­e a sparare per legittima difesa?», gli è stato chiesto. «Se è necessario sparare, devono sparare. Se mi tagliano un braccio con un machete mica offro l’altro braccio». Nulla che non sia previsto dalla legge, quasi una banalità, ma ecco che gli avversari politici parlano subito di «improvvida chiamata alle armi», di «assurda speculazio­ne». Nessuno si sottrae a questo botta e risposta insensato. Vince (crede di vincere) il più veloce. Non importa se tutto si riduce a uno scambio di battute scontate e prevedibil­i. Bisogna fare in fretta. Non c’è tempo per ragionare. Non serve.

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