LE VOCI STONATE NELL’EMERGENZA
C’è sempre qualcosa di eccessivo e di stonato nel linguaggio dell’emergenza. Di qualsiasi emergenza. Di fronte all’esodo di 50 milioni di nordafricani che fuggono dalla guerra, dalla violenza o dalla fame, termini come invasione, degrado, bivacco diventano il modo «normale» per fotografare la situazione. Si parla di «strade dormitorio», di «strutture al collasso», di «tsunami umano». E la politica si nutre di queste immagini per ingaggiare duelli verbali da bar di paese. «Dov’è l’Europa?». «Dov’è il governo?». E gli altri di rimando: «Quando al governo c’erano loro dicevano il contrario». Oppure: «Quelli con la scabbia andassero ad abbracciare Renzi e la Boldrini» (detto da un leghista cui non fa onore quel romanissimo «andassero»). E sempre dal fronte leghista un «Se li prendano a casa loro» riferito via via ad avversari politici, istituzioni ecclesiastiche od organizzazioni umanitarie. Salvo poi, quando un privato cittadino prende sul serio il provocatorio invito e ospita qualche profugo, gridare allo scandalo e invocare ordinanze che vietino quell’improvvisata accoglienza.
Ieri (sul fronte opposto) ci è cascato persino il sindaco Pisapia: a una giornalista televisiva che lo incalzava sul fatto che lo sgombero della stazione Centrale aveva semplicemente spostato il problema, ha risposto stizzito: «Allora li ospita lei a Sky?». Ci sono istituzioni che si smentiscono a vicenda: «Il prefetto voleva organizzare una tendopoli in piazza Duca d’Aosta. L’ho fermato». Parola di Maroni. «Non è vero: non è mai stata ipotizzata una soluzione del genere». Parola del prefetto. Chi semplicemente mostra compassione viene accusato di «pietismo buonista» e l’iperbole diventa alternativa all’argomentazione: «L’Italia è una discarica» (copyright Gasparri). Tutto a misura di twitter in un forsennato ping pong a colpi di slogan.
Dicevamo che l’eccesso caratterizza il linguaggio di qualsiasi emergenza. Commentando il ferimento di un capotreno delle Nord a colpi di machete, Maroni ha chiesto maggiore presenza delle forze dell’ordine. «Autorizzate a sparare per legittima difesa?», gli è stato chiesto. «Se è necessario sparare, devono sparare. Se mi tagliano un braccio con un machete mica offro l’altro braccio». Nulla che non sia previsto dalla legge, quasi una banalità, ma ecco che gli avversari politici parlano subito di «improvvida chiamata alle armi», di «assurda speculazione». Nessuno si sottrae a questo botta e risposta insensato. Vince (crede di vincere) il più veloce. Non importa se tutto si riduce a uno scambio di battute scontate e prevedibili. Bisogna fare in fretta. Non c’è tempo per ragionare. Non serve.