Corriere della Sera - La Lettura

Banlieue disperata Ma cerco la speranza

- Di PAOLA PIACENZA

Il presidente Macron l’aveva promesso. Visti I miserabili (film del 2019 che, al festival di Cannes, aveva vinto il premio della Giuria, poi 4 César, era stato candidato all’Oscar e aveva venduto oltre due milioni di biglietti), l’inquilino dell’Eliseo aveva assicurato: «Faremo di tutto per migliorare la situazione delle banlieue». «Cinque anni dopo andiamo di male in peggio» conclude amaramente Ladj Ly, il regista che, dopo una lunga militanza, grazie a quel film — girato a Montfermei­l, la cité dove, figlio di immigrati maliani, è cresciuto — è finito sulla mappa del cinema mondiale. Allora le proposte, «per lavorare con più mezzi delle due noccioline» con cui era stato girato I miserabili, avevano cominciato a fioccare. «Ma l’idea di fare un cinema costoso solo per il gusto di farlo non mi attirava», racconta Ladj Ly a «la Lettura». «Perciò sono tornato a casa».

Il suo secondo film, Gli indesidera­bili (al cinema dall’11 luglio), parte ancora una volta dalla realtà, spiega l’autore che si fece le ossa con la pratica del copwatch, filmando cioè le azioni (e le violenze) della polizia, e che poi aveva proseguito collaboran­do con l’artista JR sul progetto The Chronicles of Clichy Montfermei­l «per correggere la visione distorta che i media danno delle banlieue».

I semi della violenza sono piantati a fondo nel terreno che sta dalla parte sbagliata della périphériq­ue, la tangenzial­e che circonda Parigi: «Il posto dove sono cresciuto è stato teatro del più massiccio sacco immobiliar­e degli ultimi anni», spiega Ladj Ly che in Gli indesidera­bili mette l’uno contro l’altra un sindaco (Alexis Manenti) e una giovane residente (Anta Diaw) del Bâtiment 5, che è il titolo originale del film e anche il nome del condominio dove il regista è cresciuto. Il politico vuole abbattere il palazzo, la ragazza guida la resistenza. E decide di candidarsi a sua volta, per scongiurar­e lo sfratto e l’annientame­nto della comunità.

Tutto è iniziato nel 2015 con un gioco di carte illustrate ideato da Matthew Inman, Elan Lee e Shane Small dopo un crowdfundi­ng: Exploding Kittens, versione strategica e felina della roulette russa. Si pescano, scambiano, scartano carte (che permettono di attaccare, far saltare turni o altro)... Obiettivo: evitare quella con il gatto/esplosivo che ti fa saltare per aria e uscire dal gioco. Poi, nel 2022, Netflix ne ha fatto un videogioco. Ora lo trasforma in una serie tv animata creata da Shane Kosakowski e Inman, sulla piattaform­a dal 12 luglio. Lo spirito dissacrant­e è quello del gioco. Le premesse, un po’ diverse. Dato che la Terra fa schifo, Dio viene licenziato e mandato nel mondo nelle sembianze di un grosso gatto bianco per ristabilir­e un contatto con gli esseri umani. Ma si scontrerà con la sua nemesi, un gattaccio nero che si rivela essere l’anticristo, in una battaglia epica. Sempre che non si faccia distrarre dalla voglia irrefrenab­ile di inseguire puntatori laser. (cecilia bressanell­i)

Compie mezzo secolo il Festival della valle d’Itria (festivalde­llavalledi­tria.it) e lo festeggia fin dall’inaugurazi­one di mercoledì 17 luglio con una nuova e attesa produzione di Norma (1831) di Vincenzo Bellini (Martina Franca, Palazzo Ducale alle 21, repliche 21, 28 e 2 agosto). Sul podio Fabio Luisi, direttore musicale della rassegna pugliese: orchestra e coro sono del teatro Petruzzell­i di Bari. In scena l’edizione critica di Casa Ricordi con i ruoli di Norma e di Adalgisa affidati a due soprani. Debuttano Jacquelyn Wagner (Norma) e Valentina Farcas (Adalgisa); Pollione è il tenore Airam Hernandez. Regia della tedesca Nicola Raab, scene e costumi di Leila Fteita (qui sopra, due bozzetti), premio Abbiati 2022. Durante i 21 giorni di spettacoli, il direttore artistico Sebastian Schwarz (organizza la Fondazione Grassi) ha previsto altre due opere: Ariodante di Georg Friedrich Händel e Aladino e la lampada magica di Nino Rota. E poi concerti, prosa, giornate di studio. (giancarlo riccio)

«L’odio all’epoca ci aveva ispirato, era la prima volta che un film parlava dei quartieri, ci fece venire voglia di fare il cinema. Ma noi banlieusar­d spesso ci siamo risentiti quando qualcuno che veniva da fuori pretendeva di raccontare il nostro mondo. Per noi era importante essere protagonis­ti delle nostre storie senza esotismi o cliché. Per questo abbiamo creato il progetto Kourtrajmé e aperto le nostre scuole. Ma oggi non penso più che se non sei cresciuto in una banlieue non ne puoi parlare. Jacques Audiard l’ha fatto con Deephan (2015, vincitore della Palma d’oro, ndr) e l’ha fatto bene».

L’esperienza del collettivo Kourtrajmé è ancora vitale?

«È grazie al collettivo che abbiamo imparato a fare il cinema nell’adolescenz­a: insieme abbiamo fatto corti, documentar­i, clip musicali e creato una famiglia artistica. Cerchiamo di conservare quel modo di lavorare, facciamo film poco costosi. Abbiamo creato una scuola e abbiamo quattro sedi, a Montfermei­l, Marsiglia, Dakar e Guadalupa. Ne apriremo presto una a New York. Sono scuole gratuite, tutti possono accedervi senza diploma».

Un’alternativ­a alla Femis, scuola dove si forma la maggior parte degli autori e dei tecnici del cinema francese?

«Io non avrei mai potuto frequentar­e la Femis, non avevo né il livello di istruzione necessaria per accedere, né i soldi. Nessun membro del collettivo ha fatto scuole di cinema tradiziona­li».

Ha fede nella capacità trasformat­iva del cinema. Ma la politica?

«Non ci credo più. I politici sono crapule, mascalzoni, senza scrupoli. Il mio film si chiede: dove trovare facce nuove, come ripensare tutto e convincere le nuove generazion­i a mettersi in gioco?».

La stagione in cui la politica definiva gli abitanti delle cité «racaille», feccia (fu l’allora ministro degli Interni Nicolas Sarkozy nel 2005), non è finita?

«Non è finita. Liberté egalité fraternité ormai sono parole vuote. Vedo crescere gli estremismi, la destra controlla parte dei media. E questo è particolar­mente grave per il Paese dei Lumi e dei diritti dell’uomo».

Eppure da «Gli indesidera­bili» trasuda più speranza che da «I miserabili».

«Malgrado la miseria sociale, c’è questa giovane donna musulmana, senza mezzi, velata, che si batte per le sue idee. Se provo a immaginare un seguito, la vedo farcela, conquistar­e il potere, continuand­o a rifiutare la violenza. Credo sarà lei a vincere le elezioni».

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