Corriere della Sera - La Lettura
Dopo Giulietta non c’è nulla
Filippo Dini porta al Carignano di Torino un dittico shakespeariano: «Romeo e Giulietta» del Bardo e «After Juliet», quasi un sequel, della drammaturga Sharman Macdonald. Dice il regista: «La tragedia dei due amanti ci consente di indagare altre tragedie
Il fascino dei capolavori letterari di William Shakespeare è andato oltre i secoli, ammaliando il pubblico e ispirando innumerevoli adattamenti creativi. Tra le sue tragedie più celebri, Romeo e Giulietta, la storia dei due sfortunati amanti divisi da faide familiari, è forse una delle più rappresentate di sempre, attraverso vari medium artistici: riduzioni musicali come il poema sinfonico di Ciajkovskij, i balletti di Prokof ’ev e di Kenneth MacMillan, l’opera di Gounod, la tragedia lirica in due atti di Bellini I Capuleti e i Montecchi, il musical West Side Story. Senza contare le oltre quaranta versioni cinematografiche (fra le più popolari quelle dirette da Zeffirelli e Luhrmann).
Prato inglese. Sere d’estate al Teatro Carignano, iniziativa del Teatro Stabile di Torino dedicata ai grandi classici shakespeariani, propone in prima nazionale, da martedì 18 giugno al 14 luglio, un dittico per la regia di Filippo Dini, incentrato sulla famosa storia d’amore cui si abbina After Juliet di Sharman Macdonald, spettacolo la cui premessa di base è: «Cosa è successo ai Capuleti e ai Montecchi dopo la morte di Romeo e Giulietta?». «Sul palco — esordisce Dini, da poco nominato direttore artistico della Fondazione Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale — ci saranno in scena i giovani diplomati della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, Romeo e Giulietta mi sembrava il testo ideale con cui farli confrontare. Da tempo desideravo affrontare di nuovo Shakespeare, dopo il Riccardo III messo in scena nel 2006».
La tragedia dei due amanti di Verona consente, afferma Dini, di indagarne un’altra a noi contemporanea: «La generazione di oggi è forse la prima che nasce con la consapevolezza del rischio estinzione. Abbiamo superato, dicono gli scienziati, un punto di non ritorno. Abbiamo decretato la fine del nostro pianeta, magari non a breve, ma una fine irrimediabilmente segnata. Unita all’esperienza devastante del Covid, questa consapevolezza ha generato nella nostra gioventù una “correzione”, rispetto all’adolescenza delle generazioni precedenti, del modo di pensare, di progettare il domani. A ciò va aggiunta la latitanza della politica, sia di destra che di sinistra: i tagli agli investimenti per l’istruzione, alla ricerca, alla scuola sembrano quasi voler negare la possibilità di un futuro. A loro, e di riflesso a noi stessi».
Tutto questo, sostiene il neodirettore, «ha molto a che fare con Romeo e Giulietta e col nostro presente. Siamo in un tempo di violenze e guerre: massacriamo i
Il regista Filippo Dini (Genova, 7 aprile 1973; sopra nella foto di Luigi De Palma), regista e attore teatrale, ha frequentato la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. Insieme ad altri quattro compagni di corso (Andrea Di Casa, Sergio Grossini, Fausto Paravidino e Giampiero Rappa) ha fondato la compagnia Gloriababbi Teatro, con cui collabora tuttora. A Torino ha lavorato come regista residente dal 2021 al 2023, periodo in cui ha messo in scena sei regie: l’ultima Agosto ad Osage County di Tracy Letts. Come attore si è confrontato con i migliori registi della scena italiana, da Carlo Cecchi a Giorgio Barberio Corsetti e Valerio Binasco. Il suo lavoro come regista gli è valso numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Flaiano per il teatro 2023 per Il crogiuolo di Arthur Miller Gli spettacoli Dal 18 giugno al 14 luglio torna a Torino Prato inglese. Sere d’estate al Teatro Carignano, iniziativa dedicata ai classici shakespeariani. Quest’anno il progetto comprende un dittico per la regia di Filippo Dini incentrato su Romeo e Giulietta, a cui si abbina lo spettacolo After Juliet di Sharman Macdonald, ipotetico seguito della tragedia shakespeariana. Saranno in scena gli attori diplomati della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino. Nelle foto (©Luigi De Palma), in alto: Alice Fazzi e Martina Montini in una scena delle prove di Romeo e Giulietta; sotto, da sinistra: (in primo piano) Alice Fazzi, Emma Francesca Savoldi, Filippo Dini, Martina Montini. Da sinistra (dietro) Iacopo Ferro, Christian Gaglione, Alessandro Ambrosi, Ilaria Campani, Matteo Federici, Samuele Finocchiaro, Nicolò Tomassini in una scena delle prove di After Juliet Lo studioso Paolo Bertinetti (Torino, 1944; sotto), professore emerito di Letteratura inglese all’Università di Torino, è autore tra le altre pubblicazioni di Shakespeare creatore di miti. Breve corso su Romeo e Giulietta, Amleto, Falstaff, Macbeth, Otello e il loro autore e Agenti segreti. I maestri della spy story inglese (Sellerio, 2024) nostri giovani, non offriamo loro nessuna speranza. È quello che accade nella tragedia di Shakespeare. Che racconta sì la storia di un amore appassionato, ma in un contesto di faida, di sangue, di morte».
«Romeo e Giulietta — ricorda Paolo Bertinetti, professore emerito di Letteratura inglese all’Università di Torino — incomincia come una commedia, una storia d’amore con due innamorati che devono vincere gli ostacoli posti dalle loro famiglie, e termina in tragedia. L’amore che trionfa è suggellato dalla morte. Che un amore così grande e così bello dovesse finire in quel modo, a un certo punto indusse addirittura a cambiare il finale. E certamente tutto poteva finire diversamente “se”. Se Tebaldo non avesse ucciso Mercuzio e Romeo non avesse avuto motivo di vendicarne la morte; se Frate Lorenzo avesse rivelato la verità; se Frate Giovanni avesse potuto entrare nella città di Mantova e informare Romeo della finta morte. E poi — accidenti! — se Romeo fosse arrivato un poco più tardi e avesse trovato Giulietta viva e vegeta, magari avrebbero potuto scappare insieme».
Il tentativo di provare a immaginare cosa potesse essere accaduto ai personaggi «sopravvissuti» alla tragedia dei due giovani amanti è al centro di After Juliet, testo della drammaturga scozzese Sharman Macdonald su impulso della figlia, la candidata all’Oscar Keira Knightley. Messo in scena nel nostro Paese per la prima volta nel 1999 al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino diretto da Barbara Nativi (1951-2005), anche autrice della traduzione con Luca Scarlini, After Juliet costituisce, spiega Dini, «un sequel ideale di Romeo e Giulietta: una favola moderna che parla di amore e odio, di speranza e redenzione. La pace sottoscritta tra Capuleti e Montecchi sulle ceneri del sacrificio dei due giovani è fasulla; i ragazzi si trovano così a odiare, a odiarsi ancora, come i loro genitori. Un odio vorace, alimentato dalla paura dell’arrivo del “nemico”, i coetanei dell’opposta fazione. La storia di After Juliet è quella di un odio se possibile ancora più feroce, da parte di ragazzi ai quali è stata trasmessa solo la frequentazione di questo sentimento».
La scrittura di After Juliet, aggiunge il regista, «è estremamente diversa da quella di Shakespeare: ruvida, astratta, visionaria, lontana dalla concretezza del Bardo. I protagonisti sono tutti ragazzi — non ci sono adulti. Quando risulta evidente che la pace promessa è un posticcio, a cui nessuno crede davvero perché, come la storia e il nostro quotidiano insegnano, non bastano i morti a chiudere le guerre, questi giovani, in gran parte Capuleti, cercano di armarsi nuovamente contro i Montecchi. Vogliono eleggere un leader — il “principe dei gatti”, come veniva chiamato Tebaldo prima della sua morte — che li porti alla vittoria sui rivali: la tensione è nell’attesa, quella che aleggia nella seconda parte di Full Metal Jacket di Kubrick, o che possiamo avere letto e visto nei film di qualunque guerra. L’attesa febbrile della trincea, sempre col terrore che il nemico possa attaccare da un momento all’altro. Una metafora estrema del senso di sconforto e di mancanza di visione del futuro, che in qualche modo racconta questa generazione».
L’intero progetto deve molto, sottolinea il regista, all’impianto scenografico, che rappresenta un parco giochi abbandonato: uno scivolo, una giostrina coi sedili, la cabina di una ruota panoramica. «Poiché quella di Romeo e Giulietta è una storia di ragazzi, il riferimento visivo che con lo scenografo Gregorio Zurla abbiamo usato come punto di partenza — ribadisce Dini — è la famosa foto del parco giochi della città fantasma di Pripjat’, al confine tra Ucraina e Bielorussia, a due chilometri da Cernobyl, abbandonata dopo il disastro nucleare del 1986. Di Romeo e Giulietta conserviamo più spesso l’aspetto romantico, dimenticando che è la storia di una guerra, di un odio feroce tra due schieramenti, all’interno del quale nasce qualcosa di magico, che attiene a un istinto innato dell’essere umano: la capacità di amare, altrettanto innata quanto quella di odiare. In After Juliet invece non c’è più niente, tutto è già avvenuto. Tutto è già stato distrutto. L’ambientazione è post-bellica, c’è solo un ballatoio dove i ragazzi aspettano, e aspettano. Cercando, senza riuscirci, di costruire un quotidiano».
In molte messe in scena la tragedia del Bardo si conclude con la morte di Giulietta (che bacia Romeo, appena spirato, dicendogli «le tue labbra sono ancora calde»). Tuttavia, nota Bertinetti, «nel testo ci sono ancora parecchi versi, quelli in cui Frate Lorenzo racconta come è andata la faccenda della finta morte e, soprattutto, quelli che contengono le parole del Principe. Shakespeare, come in molti altri lavori, vuole che il testo si concluda con il ritorno all’ordine, dopo il disordine: qui si tratta della faida tra le due famiglie (in Amleto si tratta del ritorno alla legittimità — e all’ordine — dopo il periodo del regno dell’usurpatore e assassino Claudio)». E aggiunge: «Shakespeare non avrebbe mai vinto l’Oscar per il soggetto originale. Quasi sempre ha pescato qua e là, dagli storici inglesi, da quelli dell’età classica, dalle novelle italiane in versione francese. La vicenda di Romeo e Giulietta compare nel Novellino di Masuccio Salernitano, a cui segue prima la versione di Luigi da Porto, poi quella del Bandello. Shakespeare non poteva conoscere queste novelle; ma ci fu la versione francese di Pierre Boaistuau, tradotta in inglese da Arthur Brooke e da William Painter. Questa è la fonte del Bardo».