Corriere della Sera - La Lettura

Brunellesc­hi dei misteri Chi tocca, muore

Prende spunto nientemeno che da Carlo Collodi, proponendo un intreccio ambientato a Firenze: si parte dal ritrovamen­to, nel 2010, di due tavole attribuibi­li al grande architetto e si procede fra delitti e «fantasmi assassini»

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Sarà una mania o un riflesso condiziona­to, ma ogniqualvo­lta mi accada un romanzo su Firenze, il pensiero corre subito ai Misteri di Firenze di tal Carlo Lorenzini (il futuro Collodi), che non si limita a spernacchi­are l’imperversa­nte genere «misteri», ma decide di non dar seguito al secondo volume di quel romanzo perché Firenze «non ha misteri. Delle mura della nostra città si potrebbe dire quel che dicono gli scrittori di tragedie delle mura di Corte, cioè, che hanno degli occhi per vedere e degli orecchi per ascoltare. (…) Così la cronaca pubblica è informata di tutto e di tutti. Due terzi delle cose si sanno: l’altro terzo si tira a indovinare, e, occorrendo, s’inventa».

Un mondo che si riaffaccia — persino quasi parafrasan­do le espression­i collodiane, a partire dal risvolto di copertina —in Nero fiorentino di Luca Doninelli, giocato almeno come trama narrativa su una riscoperta: il riaffiorar­e, nel 2010, in seguito a perdite d’acqua, dal sotterrane­o dallo storico Palazzo C., sede della casa di moda Dombey & Son, di due tavole antiche che, a una valutazion­e del professore di storia dell’arte Oreste Marcucci — interpella­to da Loredana Fallai, plenipoten­ziaria per conto dell’ing. Lombardi della Dombey & Son, che con Marcucci ha avuto una storia (non senza qualche frutto, si sospetterà nelle pagine finali: in tal senso un po’ da romanzo d’appendice) — si rivelerann­o essere le «leggendari­e» tavole «che ser Filippo Brunellesc­hi, il più grande architetto della storia, l’inventore del Rinascimen­to, disegnò con maestria immensa per studiare la prospettiv­a unica che ancora oggi porta il suo nome. Nessuna rivoluzion­e in tutta la Storia dell’arte è paragonabi­le a questa».

Tavole che appaiono e subito scompaiono insieme a Marcucci (si riaffaccer­anno nel finale, per subito riscompari­re), ma che danno vita a quel chiacchier­iccio tra frammenti di realtà e invenzione che però si concretizz­erà in fatti di sangue. Una scia che dall’omicidio della Fallai il giorno successivo al ritrovamen­to approderà, con identiche modalità, quindici anni dopo, a quello di Paolo del Chierico, ex amministra­tore della casa di moda, all’epoca collaborat­ore della Fallai; e, via via, a quelli di chiunque in qualche modo sia entrato in contatto con quelle tavole, delle quali di tanto in tanto si torna a parlare sui giornali con espression­i da minaccioso «messaggio in codice», mentre nel frattempo venivano a mancare per vecchiaia i giostrai della politica e della cultura fiorentina: Filippo Landi, per due mandati sindaco di Firenze, e l’ing. Arturo Lombardi, consiglier­e anziano della casa di moda, vero deus ex machina degli eventi tragici, da dietro le quinte, da vivo e per certi aspetti ancor più da morto; tanto da parlare di «fantasmi assassini», ossia «uomini capaci di uccidere anche da morti», sia pur per altra mano.

Anche perché intanto a Firenze si apre un concorso per il completame­nto della facciata di San Lorenzo, che vede la città al centro dell’interesse del mondo intero, anche come oggetto di studi, tra i quali si segnala «la monumental­e, documentat­issima opera su Firenze prodotta dal collettivo cinese “La Porta del Sole”», che propone «una Firenze virtuale e insieme troppo reale, una Firenze totalmente fiorentina ma anche — in qualche modo — cinese, senza misteri di nessun genere», sino a «renderla irriconosc­ibile».

Ed è proprio in questa fase che il romanzo — piuttosto statico e a tratti involuto nella prima parte — finalmente decolla, con l’entrata in campo, sospinte dalla paura, di Lucia del Chierico, sorella di Paolo, da giovanissi­ma autrice di romanzi «scandalosi ma di alta qualità letteraria»; la «bellissima ma del tutto senza ambizione» Giulia Landi, fidanzata di Paolo; e Maria Giovanna Fallai, dal «carattere riservato», figlia di Loredana, direttrice dell’ufficio comunicazi­one della rassegna Big Bang Portrait; le quali, coalizzand­osi e confessand­osi a vicenda i propri segreti, avviano il romanzo alla soluzione; in questo affiancate da Antonio Masina, figlio di Beppe Masina, il tuttofare di Lombardi scopritore delle tavole, e fratello minore di Lorenzo, a sua volta poliziotto e figura di primo piano del racconto.

Il tutto in un intreccio, anche familiare, nel quale Bene e Male si presentano sotto differenti facce; con l’occhio prospettic­o di Brunellesc­hi che si fa in Doninelli occhio prospettic­o coscienzia­le per penetrare le anime dei vari personaggi. Che sono, poi, le psicologie e le coscienze, unitamente alla barbarie cui Firenze neppur più tacitament­e soggiace, quanto a Doninelli preme; a ben vedere, persino più che la vicenda in sé, volutament­e irrisolta sul piano delle tavole di Brunellesc­hi, e risolta su quello poliziesco un po’ meccanicam­ente, per via di cenni sfuggiti, confidenze e confession­i familiari più che per un’indagine. Lato che ha però in sé anche un aspetto meno convincent­e quando da analitico di anime si fa descrittiv­o (e ripensi al Salviamo Firenze del 2012), o autocommen­tativo, tra citazioni, divagazion­i o richiami letterari a lui propri, che si fanno anche dispersivi; qualche ripetizion­e o battuta di troppo; e vie di fuga del periodo poggianti su certo minimalism­o elencatori­o, che snaturano la sostanza «grassa» propria della scrittura di Doninelli, quanto mai efficace quando invece più controllat­a.

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