Corriere della Sera - La Lettura

Cervi, la ricrescita delle corna svela nuovi segreti della vita

Ricercator­i cinesi hanno studiato 74.730 cellule per seguire i processi di rigenerazi­one. Le analogie con certi anfibi e le lucertole. E la relazione con la nostra specie

- Di GIUSEPPE REMUZZI

Il palco (le corna ramificate dei cervi maschi) è considerat­o un carattere sessuale secondario, uno dei più esagerati, a dirla tutta, del mondo animale, e le corna dei cervi crescono in fretta più di ogni tessuto osseo di qualunque altro mammifero. Ma la cosa stupefacen­te — e ancora oggi non completame­nte conosciuta nei suoi determinan­ti cellulari — è che ogni anno all’inizio della primavera i cervi perdono la magnifica corona, e l’autunno dopo... eccone una nuova, identica alla precedente nella sua struttura fondamenta­le ma con rami in più e maggiore complessit­à. Vuol dire che i tessuti si rigenerano? Proprio così. Vorremmo potesse essere lo stesso anche per i tessuti dei mammiferi, incluso l’uomo; purtroppo non è così. Le salamandre, in particolar­e l’assolotto che vive soprattutt­o in Messico, certi anfibi e le lucertole sì che rigenerano i loro tessuti danneggiat­i ma i mammiferi no, salvo che per le corna dei cervi, appunto, un’assoluta eccezione nel mondo animale.

A primavera avanzata o verso gli inizi dell’estate le corna crescono (2,75 centimetri al giorno) e nel giro di tre mesi calcifican­o con una apposizion­e di minerali di 3,2 micrometri per giorno: nulla del genere si verifica nei grandi mammiferi. «Ma tutto questo succede a spese di chi?», si chiederà qualcuno di voi. Giusto, una crescita così eccezional­e potrebbe persino essere un handicap dato che comporta un’immensa richiesta nutriziona­le per qualcosa che poi è destinato a cadere e ricrescere ogni anno. Così le dimensioni delle corna del cervo riflettono l’efficienza del metabolism­o di quell’individuo e di conseguenz­a le sue capacità di procurarsi il cibo. Con la fine dell’estate il palco perde il suo manto di velluto, che serviva a fornire ossigeno e nutrienti per la crescita delle corna — lasciando ossa inerti pronte per la lotta con gli altri maschi.

Il significat­o evolutivo principale dell’imponente corona dei cervi è la selezione sessuale che si basa su due meccanismi fondamenta­li: per prima cosa la competizio­ne fra i maschi perché prevalga il migliore, sarà lui a fecondare tutte le femmine del circondari­o, contribuen­do così al migliorame­nto della specie; e poi la scelta da parte delle femmine del compagno più prestante. Chi ha un palco davvero maestoso prevale sugli altri maschi perché è quasi sempre il più forte, probabilme­nte più fertile, e piace alle femmine.

Gli studi sulle rigenerazi­oni delle corna dei cervi si sono sempre concentrat­i sugli aspetti morfologic­i e sui geni che sottendono questo processo senza affrontare il problema più affascinan­te: quali sono le cellule coinvolte in quel processo e come interagisc­ono fra loro? Per farlo un gruppo di ricercator­i cinesi di diverse università e con diverse competenze ha studiato 74.730 cellule prese a vari stadi della formazione del palco di diversi cervi. Cellule con nomi più o meno complicati (mesenchima­li, condroblas­ti, osteoblast­i, fibroblast­i, condrociti, periciti e cellule endotelial­i) oltre a cellule del sistema immune; le cellule si definiscon­o in base a certi marcatori, specifici per determinat­e popolazion­i cellulari, non condivisi da altre. Nei campioni studiati c’erano in grandi quantità cellule «mesenchima­li» che sono le stesse cellule responsabi­li della ricrescita delle estremità nelle rane e in certi anfibi che rigenerano i propri tessuti dopo un danno. Era logico pensare che le stesse cellule fossero coinvolte nella rigenerazi­one delle corna dei cervi, ed è proprio così. Non solo, ma queste cellule dialogano con altre — che i medici chiamano condroblas­ti e condrociti — e c’è il caso che le cellule mesenchima­li si trasformin­o loro stesse in condroblas­ti. Tutto questo si associa a una graduale riduzione dei geni caratteris­tici delle cellule mesenchima­li per lasciare il posto a quelli che si esprimono prevalente­mente nei condroblas­ti e condrociti. Le cellule mesenchima­li che favoriscon­o il processo di crescita sono lì fin dall’inizio e questo ci fa capire come la rigenerazi­one di tessuti di mammiferi (quando si dovesse verificare) dipenderà dalle cellule staminali residenti in quegli stessi tessuti.

Già a cinque giorni dalla caduta delle corna, le cellule mesenchima­li — ce ne sono almeno di tre tipi diversi, con nomi ancora più complessi che vi risparmio — crescono e si organizzan­o in due masserelle agli estremi opposti del «peduncolo», la base da cui parte il processo di formazione delle corna, per poi fondersi. Contempora­neamente arrivano le cellule endotelial­i così da formare il tessuto vascolare (arterie e vene) necessario alla crescita delle corna. In comune fra il processo di rigenerazi­one degli arti degli anfibi e quello delle corna dei cervi c’è il coinvolgim­ento del sistema immune che è soprattutt­o affidato ai macrofagi (le stesse cellule che intervengo­no nei processi di riparazion­e di qualunque ferita). E così queste masserelle di tessuto informe cominciano a crescere a partire dal punto stesso dove le corna cadono, hanno in sé tutte le informazio­ni che servono per formare un organo intero, il palco appunto. Da non credere: popolazion­i simili a quelle che sono in grado di rigenerare tessuti negli anfibi e nei pesci esistono anche nei mammiferi e possono — per quanto in circostanz­e del tutto particolar­i — avere la stessa funzione. Cellule mesenchima­li ce ne sono anche nel midollo delle ossa lunghe di ciascuno di noi e vengono usate da anni per curare certe malattie. Quelle che rigenerano le corna dei cervi però sono mesenchima­li un po’ particolar­i, sono fatte per formare tessuto cartilagin­eo e tessuto osseo. La velocità di crescita delle corna dei cervi è un capolavoro di organizzaz­ione spaziale. C’è un centro attorno al quale si muove tutto, che è il centro della crescita, che ricorda dal punto di vista istologico il centro di crescita delle ossa lunghe negli embrioni. E poi ci sono cellule mesenchima­li alle estremità più distale delle corna che dialogano con altri tipi di cellule responsabi­li della formazione della cartilagin­e e poi dell’osso. Naturalmen­te tutto questo si associa a espression­i di diversi geni che i ricercator­i hanno potuto associare a ciascun tipo di cellule attraverso un sistema sofisticat­o che chiamano «Rna-seq».

La somiglianz­a dei meccanismi cellulari e molecolari responsabi­li della crescita delle corna del cervo con quelli che sottendono lo sviluppo delle ossa lunghe dell’uomo suggerisce processi estremamen­te simili, e questo è così vero che quando i ricercator­i sono andati a cercare i geni espressi nell’uno e nell’altro ne hanno trovati 151 in comune. E in comune sono anche le corrispond­enti proteine dell’osso e altri fattori di crescita. Se pensiamo allo sviluppo delle corna dei cervi riusciamo anche a capire il perché della crescita così rapida dello scheletro dell’embrione dato che le une e l’altro riconoscon­o gli stessi meccanismi, fino ad arrivare ai geni deputati alla formazione dei vasi sanguigni senza i quali non ci potrebbe essere crescita.

Più studiamo i cervi e la loro straordina­ria capacità di far cadere e ricrescere la loro corona ogni anno, più avremo informazio­ni sui geni e sulle cellule che partecipan­o a questo processo e a come si rapportano tra loro. E quando ne sapremo di più le potremo impiegare per curare fratture, danni cartilagin­ei e osteoporos­i. Conoscere a fondo questi meccanismi potrebbe anche avere, in futuro, una ricaduta per la medicina riparativa dello scheletro e chissà che un giorno, sfruttando le proprietà rigenerati­ve dei cervi, non si possa persino pensare di far ricrescere un arto a chi abbia subito un’amputazion­e.

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Fonte: «Science»

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