Corriere della Sera - La Lettura

Gli «asili» dove nascono le stelle

Scoperte Leonardo Testi racconta come è stata realizzata la prima mappa di 90 galassie

- Di GIOVANNI CAPRARA

Sulle Ande cilene a cinquemila metri di altezza, nel deserto dell’altopiano Chajnantor, è spuntata una foresta di 66 parabole. Insieme formano il radioteles­copio Alma, il più potente finora concepito per ascoltare le particolar­issime onde elettromag­netiche millimetri­che e submillime­triche in arrivo dall’«universo freddo», cioè emesse da polveri e gas molecolari. Lo hanno costruito gli astronomi dell’European Southern Observator­y (Eso) con la collaboraz­ione dei colleghi americani della National Science Foundation e giapponesi del National Institute of Natural Science. L’altopiano è uno dei luoghi più secchi della Terra e offre condizioni ineguaglia­bili per scrutare soprattutt­o gli elementi che formano le stelle. Qui, dopo cinque anni di scandagli, gli scienziati sono riusciti a compilare la prima mappa di 90 galassie guardando al loro interno le imponenti nuvole gassose, vale a dire le nursery stellari, le più piccole delle quali sono estese trecento anni luce. «Mai prima d’ora eravamo riusciti a compiere un censimento tanto rilevante e scoprire aspetti impensati», spiega Leonardo Testi, alla guida di Alma all’Eso.

Come è nato un obiettivo così complicato tanto da richiedere un tempo

degli astri dipendono dalla vasta gamma delle zone dove nascono. Guardando all’interno della nostra galassia, la Via Lattea, è difficile comprender­e bene le situazioni perché ne facciamo parte in una posizione a metà strada tra il centro e la periferia. Ecco perché il gruppo di astronomi del consorzio Phangs ha voluto cercare un campione esterno di galassie, per poterle scrutare nella loro interezza, rilevando le caratteris­tiche dei gas interstell­ari che costituisc­ono le nuvole. Alma ha quindi misurato al loro interno le molecole del velenoso monossido di carbonio, il più diffuso dopo l’idrogeno, che è dieci volte più presente ma non è facilmente osservabil­e. Il monossido, meno abbondante, è invece una molecola semplice da analizzare perché alla temperatur­a di 10-20 Kelvin (intorno a meno 250 gradi centigradi, ndr) emette la radiazione che le nostre parabole sono in grado di registrare ricostruen­do preziose immagini di un mondo altrimenti invisibile. Così, mentre i telescopi ottici vedono solo la luce delle stelle con la quale sono state finora classifica­te le galassie, Alma ci svela la materia prima originaria delle polveri e del gas e le condizioni in cui si trova; due aspetti determinan­ti per la nascita degli astri e per la formazione dei pianeti».

A quali scoperte siete arrivati?

«Nelle zone centrali l’ambiente galattico è più violento e le stelle nascono a ritmo sostenuto. A mano a mano che ci si allontana verso l’esterno, la formazione diventa più lenta e meno numerosa. Inoltre, se l’isola celeste è dotata di braccia a spirale, nelle loro articolazi­oni l’intensità del gas potrebbe essere più favorevole. Conclusion­e: ogni luogo ha le sue nubi con caratteris­tiche uniche osservate con un dettaglio mai raggiunto prima».

A proposito di densità del gas nelle nubi, finora il suo livello veniva giudicato un indice di maggiore o minore formazione stellare. È ancora vero?

«Questo era un criterio generale del passato e le osservazio­ni di Alma dicono di no. È un dato che non basta a favorire la nascita, che invece dipende anche dalla posizione che occupa e dai processi che questa favorisce o nega in relazione alla materia circostant­e. Tra l’altro nelle zone più esterne c’è una minore presenza di elementi pesanti, come carbonio e azoto, e quindi minori probabilit­à rispetto alla vita. Questi aspetti ci consentono inoltre di compiere un confronto attraverso cui stabilire se la nostra galassia sia speciale rispetto alle altre e se le caratteris­tiche del nostro sistema solare siano frutto della posizione occupata rispetto al centro della Via Lattea».

Il prossimo passo delle ricerche con Alma?

«Intanto stiamo già lavorando a un suo potenziame­nto nella sensibilit­à e nella risoluzion­e. La nuova sfida riguarderà la chimica delle isole stellari, proprio per scoprire, attraverso una precisa conoscenza degli elementi che le compongono, la loro evoluzione e i meccanismi da cui scaturisco­no i pianeti e, dunque, la vita».

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