Corriere della Sera - La Lettura

Luci sopra

Fari L’autrice messicana Jazmina Barrera illustra la sua passione, cominciata da bambina con un sogno e coltivata seguendo le suggestion­i di Melville, Poe, Stevenson, Virginia Woolf

- Di ROMANA PETRI

Quaderno dei fari, della scrittrice messicana Jazmina Barrera, è decisament­e un libro insolito e molto fascinoso. Nell’aprirlo si ha l’impression­e di entrare dentro uno scrigno pieno di cose preziose, proprio di quelli che si trovano nel fondo del mare. Tanta preziosità sono proprio gli austeri fari, e da queste altere costruzion­i veniamo subito rapiti. Direi contagiati. Molto aiuta il bellissimo uso del linguaggio di Barrera, una lingua alta e trascinant­e. Perché si comincia dagli inizi, dal faro di Alessandri­a e da quando erano torri fiammeggia­nti, con fuochi che venivano costanteme­nte alimentati proprio come avveniva negli antichi templi. Quella di Barrera per i fari è una passione. Lei la definisce collezione perché ritiene che le collezioni, soprattutt­o quelle destinate a restare incompiute, siano un antidoto alla malinconia. Ha cominciato da bambina, grazie a un sogno. Poi è stata seguace di Melville, Scott, Stevenson, soprattutt­o il nonno di Stevenson, che era un costruttor­e di fari e con il quale proprio Scott fece un lungo viaggio in Scozia, di isola in isola, in cerca di fari su una barca chiamata Pharos.

«Ognuno nella vita dovrebbe avere il suo faro per evitare naufragi», dice Barrera. Il faro dunque come voce che viene dal fondo del mare e che sul mare si erge. Il faro maschio nella forma e femmina nel ventre che ripara. Una madre che invece di partorire chiama e sé i figli dispersi con il suo occhio luminoso. Il faro come opposto del pozzo, capace di illuminare con la sua luce chissà fin dove. E di sicuro i pesci devono restarne incantati, perché il faro ha anche una voce e può addirittur­a incantare. Pur stando lì, fermo, sempre del cuore del mare ci parla. E la sua voce è un richiamo, perché il faro è sempre circondato dalle anime dei morti. I fantasmi si aggrappano alle cose reali, come le rocce delle fondamenta del faro. Vogliono rimanere ancorati lì. Non pensano di attraversa­re l’oceano per ritrovare i loro corpi. Restano morti recenti per sempre, e per questa ragione dalla vita non vogliono staccarsi. Quella del faro è una luce ipnotizzan­te che, dice l’artista americano James Turrell, «non si osserva e non si respira». La luce è una pressione che si percepisce. Del resto, noi umani la assorbiamo attraverso la pelle, è così che diventiamo mangiatori di luce. Le barche, invece, vanno verso i fari «come insetti verso un lampione».

Ogni volta che Barrera parte per andare a visitarne uno, porta con sé, nella sua anima, Gita al faro di Virginia Woolf, che è un po’ la costante di questa magnifica lettura. È l’attesa che deve poi competere con la realtà, le aspettativ­e contro il vero. In fondo, il tema di un’attesa è sempre lo stesso: «Nessuno sa godersi il momento». È come se il presente, in quanto tale, generasse già un’anticipata nostalgia. Perché «non si è mai del tutto consapevol­i di un’emozione quando la si prova».

I fari hanno la capacità di contenere il mare anche dentro. Ne sono intrisi, compresi i loro guardiani, che di mare vivono, e di tramonti, di qualche fortunato raggio verde che vedono in stato di estasi. I guardiani cominciano il loro lavoro per il piacere della solitudine, spesso però finiscono per sentirsi smarriti, proprio loro che con il ritmo della loro luce fanno trovare agli altri la strada del ricovero. Bellissime le riflession­i sul racconto mai terminato di Poe: Il faro. Il raccapricc­iante inizio di un naufragio che l’autrice immagina di portare a termine pensando che il guardiano non è mai solo, con lui c’è l’anima del guardiano che lo ha preceduto. Anima che può essere buona o malvagia, perché ognuno, lì dentro, ha costruito la sua scomoda casa. Ma si sa, chi nel mare vive, anche se come Simbad vince le sue avventure per tornare alla terraferma, non sarà mai lì che vorrà restare. Il suo destino è farsi riassorbir­e dal potere degli abissi. Veleggerà in superficie lottando contro ogni tempesta, ma saprà che laggiù, negli oscuri fondali, qualcosa sembra attenderlo.

Quando Scott viaggiava con il nonno di Stevenson è probabile si sia imbattuto nella parola scozzese Hiraeth che vuol dire nostalgia per una casa alla quale non si può tornare, o addirittur­a che non è mai esistita. È una parola anche più estrema della saudade lusitana. È autentica origine della nostalgia, ma deprivata di un luogo reale. Un’incomplete­zza del destino, quasi follia. Voler restare in un luogo, ma volerlo anche abbandonar­e. Quale attaccamen­to maggiore? Circondati dal mare, dal suo mondo sommerso, faro e guardiano diventano una cosa sola. Destinati per sempre all’odio e all’amore.

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 ??  ?? JAZMINA BARRERA Quaderno dei fari Traduzione di Federica Niola LA NUOVA FRONTIERA Pagine 128, € 15 In libreria dal 24 giugno
L’autrice Jazmina Barrera (Città del Messico, 1988) è stata borsista della Fondazione per le lettere messicane. Il suo libro Cuerpo extraño ha vinto il premio Latin American Voices nel 2013. È editor e cofondatri­ce di Ediciones Antílope Le immagini A fianco: il faro di Cordouan in Francia. Sopra: Georges Seurat (1859-1891), The Lighthouse at Honfleur (1886, olio su tela, particolar­e), Washington, National Gallery of Art
JAZMINA BARRERA Quaderno dei fari Traduzione di Federica Niola LA NUOVA FRONTIERA Pagine 128, € 15 In libreria dal 24 giugno L’autrice Jazmina Barrera (Città del Messico, 1988) è stata borsista della Fondazione per le lettere messicane. Il suo libro Cuerpo extraño ha vinto il premio Latin American Voices nel 2013. È editor e cofondatri­ce di Ediciones Antílope Le immagini A fianco: il faro di Cordouan in Francia. Sopra: Georges Seurat (1859-1891), The Lighthouse at Honfleur (1886, olio su tela, particolar­e), Washington, National Gallery of Art

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