Corriere della Sera - La Lettura

ILMODELLO VINCENTE DISAN BENEDETTO

- Di MARCO RIZZI

Cluny è oggi un piccolo paese in Francia. Eppure, sino all’edificazio­ne della basilica di San Pietro, a Cluny c’era la chiesa più grande della cristianit­à: faceva parte del complesso dell’abbazia benedettin­a che, fondata nel 910, nel giro di pochi decenni era diventata la capitale di una rete di più di un migliaio di monasteri in tutto l’Occidente, che si ispiravano alla Regola di vita stabilita da San Benedetto (480-547) per l’abbazia di Montecassi­no. O almeno così voleva la tradizione. In realtà, spiega Mirko Breitenste­in nel libro I

benedettin­i ( traduzione di Marco Cupellaro, il Mulino, pp. 152, € 14) l’immagine di Benedetto come «padre del monachesim­o» risale a Papa Gregorio Magno (540-604) che nei Dialoghi ne aveva narrato la vita, i miracoli e la fondazione di Montecassi­no; della Regola, invece, si hanno notizie certe solo a partire dall’VIII secolo.

La spinta decisiva per l’affermazio­ne del monachesim­o benedettin­o venne con Carlo Magno, che impose la Regola nei suoi domini, spostando in Francia il baricentro del movimento, presto occupato da Cluny. Attorno al motto ora et labora ,i cluniacens­i costruiron­o un imponente sistema (e potere) economico e culturale, che indirizzò l’Occidente con tecniche agricole innovative e la conservazi­one degli scritti antichi e medievali grazie agli amanuensi. Dal ceppo benedettin­o sorsero altre congregazi­oni, tra cui i cistercens­i di Bernardo di Chiaravall­e. La Riforma e la Rivoluzion­e francese sembrarono mettere in crisi il modello monastico: Cluny fu abbandonat­o e distrutto nel 1801. In realtà, la sua vitalità è testimonia­ta dall’ispirazion­e oggi esercitata anche fuori della Chiesa cattolica, come tra gli anglicani della Community of the Holy Cross.

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