Corriere della Sera - La Lettura
MERCANTI INGLESI PADRONI DELL’INDIA
La Compagnia inglese delle Indie orientali (East India Company, Eic) nacque nel 1600, quando la regina Elisabetta I assegnò a questa associazione di mercanti il monopolio del commercio nell’area a est del Capo di Buona Speranza. L’Eic acquistava cotone, seta, caffè, zucchero, spezie che vendeva in Europa. Spesso in conflitto con analoghe compagnie di altri Paesi, divenne una società per azioni dotata di un sempre più deciso profilo amministrativo e militare. Nel giro di alcuni decenni si impose come strumento della colonizzazione di vaste aree dell’Asia e veicolo della costruzione dell’Impero britannico.
Gradualmente affermò, spesso con la violenza, lo sfruttamento e la corruzione, il proprio dominio su territori, produzione e individui, assumendo ovunque le vesti di un autentico governo. Nel XVIII secolo estese il controllo su nuove vie commerciali e su molte regioni indiane dell’interno (a scapito dei potentati locali e dei francesi, sconfitti militarmente nel 1757), dando vita al Raj (India britannica).
Più tardi l’insofferenza degli industriali per il potere dell’Eic e le critiche ai suoi metodi convinsero il Parlamento a ridimensionarla. «I profitti dei saccheggi — disse Edmund Burke — finiscono in Inghilterra, mentre i lamenti dell’India sono gettati ai mari e ai venti». L’Indian Act nel 1784 diede allo Stato il controllo sul governo dell’India, lasciando all’Eic le attività commerciali. Il nuovo assetto non ne bloccò tuttavia l’espansione e alla metà dell’Ottocento furono occupate Birmania, Singapore, Hong Kong. Il declino di questa multinazionale ante litteram si avviò nel 1813, quando le fu tolto il monopolio commerciale. La prima guerra dell’oppio con la Cina (1839-1842) gettò altro discredito sull’Eic. La rivolta delle truppe indiane al servizio dei britannici nel 1857, causata dall’incompetenza degli ufficiali dell’Eic, convinse la Corona ad assumere il diretto controllo dei possedimenti della Compagnia, sciolta il 1° gennaio 1874.