Corriere della Sera - La Lettura
Noi non siamo al centro I romanzi postumani
La ripubblicazione del saggio di Rosi Braidotti Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte (prima traduzione italiana DeriveApprodi, 2014) è di per sé già un segnale della fortuna di questo lavoro; a breve verrà affiancato da un altro volume, secondo di una futura trilogia, in questo caso dedicato a Saperi e soggettività.
Nella prospettiva di Braidotti, filosofa italiana docente a Utrecht, nei Paesi Bassi, il postumano — ovvero l’idea che discipline come l’informatica o le biotecnologie possano trasformare l’individuo in qualcosa di nuovo, un essere ibrido, umano e non umano — non è un concetto rigido ma uno strumento di lavoro per ripensare cosa definisce o meno l’essere umano.
La studiosa contesta in particolare, riprendendo la lezione di Foucault e di Deleuze, l’antropocentrismo, e considera fondamentali le nuove acquisizioni della genetica, che ci dimostrano quanto poco differenti gli uomini siano non solo dai primati, ma anche da molte altre specie animali. Diventa allora necessario accantonare ogni forma di individualismo narcisistico, dominante nella cultura moderna almeno dal
XIX secolo, per ricostruire relazioni con la natura che siano prima di tutto materiali, ovvero di concreta comprensione della biologia che, consciamente o inconsciamente, lavora in ogni corpo. Si potranno così stabilire su basi nuove, ma addirittura rifacendosi a Spinoza, le nostre forme di trascendenza.
Accorgersi del presente, immaginare il futuro: la narrativa
Braidotti sintetizza con chiarezza posizioni che sono da tempo diffuse un po’ in tutto il mondo, per esempio con le riflessioni su cyborg e femminismo di Donna Haraway o con vari manifesti di biopolitica, ma resta un problema fondamentale: come si può immaginare un’effettiva condizione postumana, al di là delle teorizzazioni più o meno convincenti?
Qui entra in gioco la letteratura e in particolare quell’ampio settore di testi narrativi che hanno costruito mondi possibili in cui gli esseri umani rivestono un ruolo non privilegiato, in lotta con macchine più potenti e più intelligenti, oppure con una natura sovrastante.
Fra i padri, vengono spesso citati Philip K. Dick e William S. Burroughs, mentre un capolavoro recente, che fonde con eccezionale abilità passato, presente e futuro, può essere individuato in The Overstory di Richard Powers, tradotto in italiano come Il sussurro del mondo (La nave di Teseo, 2019).
I filoni da seguire sono numerosi e occorre cercare qualche chiave di lettu
ra che permetta di districarsi. Ci prova per esempio Justin Omar Johnston, docente alla Stony Brook di New York, che ha pubblicato non molto tempo fa un volume su Posthuman Capital and Biotechnology in Contemporary Novels
(«Capitale postumano e biotecnologia nei romanzi contemporanei», Palgrave-MacMillan, 2019). La pista seguita è quella dell’influsso specifico delle biotecnologie sulla società attuale ma anche in una prospettiva di lungo termine, sino all’orizzonte fantascientifico.
Fra i romanzi esaminati si trovano quindi sia Animal’s people di Indra Sinha (2007; uscito in Italia come Animal da Neri Pozza, 2009), che prende spunto dai disastri prodotti da aziende chimiche statunitensi in India, sia Oryx
and Crake di Margaret Atwood (2003; pubblicato nello stesso anno nel nostro Paese come L’ultimo degli uomini da Ponte alle Grazie), che invece racconta di uomini del futuro, che si suddividono in gruppi fortemente gerarchizzati: in apparenza secondo logiche di produttività impeccabili, e tuttavia ancora vulnerabili alle ribellioni di chi vorrebbe tornare a una condizione di pacifica inoffensività.
Così il crake, tranquillo uccello di palude, è in effetti Glenn, geniale inventore di farmaci che dovrebbero essere miracolosi, mentre l’oryx è una donna, a lungo schiava sessuale, soprannominata così perché simile a una docile gazzella ormai estinta. Ma proprio loro, con l’involontario aiuto del protagonista Jimmy, diffonderanno un virus che cancellerà gli umani portati alla sopraffazione per lasciare in vita solo i craker erbivori.
Questo sintetico riassunto non rende certo ragione delle sfumature che caratterizzano il racconto di Atwood, del resto ferrata nell’uso delle distopie come ha dimostrato la fortunata ripresa del suo libro Il racconto dell’ancella in una serie televisiva. Ma almeno possiamo notare che in questo racconto un virus letale riesce a mettere in crisi i sistemi più consolidati: una visione potente che adesso andrebbe interpretata dall’interno, visto che il Covid costringe a ripensare integralmente per esempio gli ambiti della ricerca medica e i loro rapporti con i sistemi industriali, nonché la diffusione capillare dell’assistenza sanitaria.
Le declinazioni della fantascienza
Abbandonate le tante forme di inutile superiorità che gli esseri umani hanno interiorizzato nei loro percorsi storici, possiamo cominciare a cogliere un punto importante. La riflessione sul postumano in letteratura è spesso proiettata nel futuro ma ha una valenza simbolico-allegorica molto forte, dato che spesso mette a fuoco snodi già problematici nel presente.
Andando oltre la cronaca, la narrativa che tocca i tanti ambiti in cui l’antropocentrismo deve essere superato non ne riproduce direttamente i limiti e gli effetti; piuttosto, li amplifica e li esaspera in modo da superare la loro ovvietà. In sostanza, i romanzi postumani sono come lenti di ingrandimento, a volte deformanti e però in grado di fare vedere dettagli nascosti e spesso stupefacenti.
La fantascienza è certo il settore maggiormente praticato, ma per riuscire a ottenere implicazioni etiche e filosofiche deve creare mondi possibili che non si limitino a riprodurre banali schemi dualistici, le forze del bene contro quelle del male o simili. Uno degli ambiti più produttivi è stato infatti quello della continua ricomponibilità del vivente, aspetto ormai facile da intuire sulla base delle manipolazioni genetiche già attuate.
La Trilogia dell’area X (2014; Einaudi, 2018) di Jeff VanderMeer, del quale è imminente l’uscita di un nuovo romanzo( Hummingbird Salamander, ossia «Salamandra-colibrì»), metteva in scena un mondo all’insegna della continua fusione di specie diverse rispetto a quelle «normali», un Eden distruttivo che circondava una luce misteriosa e potentissima. Il New Weird, ossia il nuovo «strano» (ma anche «misterioso», «super-naturale», eccetera), viene concretamente raccontato attraverso le azioni e ancora di più le paure e i desideri di personaggi-tipo, come una biologa o una psicologa, e un’altra volta la dimensione allegorica risulta imprescindibile per giustificare l’assunto: noi umani siamo una stranezza, come infinite altre che esistono o potrebbero esistere nell’Universo.
Forse però la lezione è parecchio più complessa.
Stranezze e ricombinazioni
Perché queste opere vanno implicitamente a toccare un fondamento invisibile dell’umano e del non-umano, ovvero la possibilità pressoché infinita di interazioni e salti da una trafila genetico-riproduttiva a un’altra.
È la risorsa alla base di ogni evoluzione, e in qualche modo resiste in noi nelle capacità di apprendimento non predeterminato, nell’intuizione, nelle metafore. Su questa potenzialità si dovrebbero concentrare gli sforzi congiunti di tante discipline, perché il postumano, per non ridursi a una ricognizione degli errori passati e presenti, deve riuscire a farci individuare un futuro non solo distopico: ciò avverrà se sapremo impiegare originalmente la nostra propensione combinatoria.
In Italia non sono ancora molti gli autori che s’impegnano in imprese
weird come quelle indicate, tuttavia possono essere letti in questa prospettiva due degli ultimi lavori di Giuseppe Genna, History (Mondadori, 2017) e il recente Reality (Rizzoli, 2020), una forte traversata nel mezzo della pandemia.
Non mancano i tentativi ibridi, tra narrativa e poesia, proposti per esempio da Italo Testa, di cui possiamo ricordare L’indifferenza naturale (Marcos y Marcos, 2018), e Laura Pugno, che sin dal suo racconto Sirene (riedito nel 2017 da Marsilio) ha lavorato sui nessi tra umano e biologico, puntando a straniamenti linguistici che destabilizzavano l’idea che l’io fosse qualcosa di monolitico. In particolare, questa scrittrice considera la poesia non come un’espressione dell’individuo bensì come un «terzo paesaggio» in cui il linguaggio non è sottomesso a vincoli consueti e ripetitivi. Come si legge nell’ultima raccolta poetica di Pugno, Noi (Amos Edizioni, 2020), all’alba «appare il giorno/ portato da ogni corpo/ con sé».
Ossia: sebbene non sia facile accorgersene, i fenomeni naturali intridono la nostra umanità, e proprio per questo dobbiamo ormai ripensarla e ricomporla, senza temere l’apparente stranezza delle nostre metafore.
Frontiere
Biologia, genetica, tecnologia sono ritenute in grado di trasformare l’individuo. Oltre la specie, oltre la morte. Ma smascherano anche l’illusione dell’antropocentrismo: non siamo troppo diversi dagli altri animali. In che futuro vivremo? La letteratura è utile perché ci aiuta a immaginarlo. Specie ora che il Covid rende la domanda più urgente: le distopie di Margaret Atwood, il potere della natura di Richard Powers, le allegorie di Jeff VanderMeer , le poesie dell’italiana Laura Pugno