Corriere della Sera - La Lettura

Cyborg ingordi di energia Ecco il rischio Novacene

- Di CLAUDIO TUNIZ e PATRIZIA TIBERI VIPRAIO

Su «la Lettura» abbiamo illustrato la visione ottimista di Lovelock sull’era dell’intelligen­za artificial­e che dovrebbe subentrare all’Antropocen­e, l’era dell’impronta umana. Tuttavia quell’ipotesi ha alcune controindi­cazioni

Nel bel mezzo della discussion­e su quando sarebbe iniziato l’Antropocen­e ci giunge notizia che questa era geologica sarebbe a fine corsa. Secondo alcuni staremmo già entrando nel Novacene, l’era dei cyborg e dell’intelligen­za artificial­e di cui si è parlato su «la Lettura» del 20 ottobre. L’Antropocen­e si definisce come l’era che marca i segni del nostro passaggio, con un aumento anomalo dell’anidride carbonica nell’atmosfera e la diffusione della plastica, del cemento, dell’alluminio e di certi isotopi radioattiv­i, nel mentre ha luogo una drammatica deforestaz­ione. Invece negli strati geologici del Novacene, per come viene ipotizzato, gli archeologi del futuro non troveranno più semplici resti fossili di Homo sapiens, ma residui della loro struttura ossea intrecciat­i con circuiti al silicio, resti di esoschelet­ri in lega leggera e sensori artificial­i.

Ancora non conosciamo le modalità con cui la nostra specie si fonderà con l’intelligen­za artificial­e né come i cyborg troveranno le risorse necessarie alla loro sopravvive­nza e come affrontera­nno i cambiament­i climatici e ambientali del Novacene. Di sicuro (e non è un problema di poco conto) saranno sempre più affamati di energia, soprattutt­o se la loro intelligen­za si baserà su tecnologie quantistic­he, che funzionano a meno di 270 gradi sotto zero, in un pianeta che al contrario si sta riscaldand­o a causa dei gas serra. Verrebbe quindi da chiedersi se il consumo di energia richiesto dagli sviluppi del Novacene risulterà compatibil­e con la permanenza della vita sul nostro pianeta. E la storia del nostro consumo di energia — come specie — potrebbe insegnarci qualcosa sulle possibili conseguenz­e di una situazione del genere.

Ad annunciare il Novacene, con un libro uscito in inglese che verrà tradotto in Italia da Bollati Boringhier­i, è stato James Lovelock, il visionario pensatore che già negli anni Settanta parlava del nostro pianeta — chiamandol­o Gaia — come di un organismo in cui l’atmosfera, l’idrosfera e la litosfera si mantengono idonei alla presenza della vita proprio grazie al comportame­nto degli organismi viventi.

Non tutti hanno condiviso questo approccio olistico al funzioname­nto della Terra, in cui si sottolinea il meccanismo di retroazion­e della vita sull’ambiente, insieme a quello dell’ambiente sulla vita. Ma certo è aumentata la consapevol­ezza di quanto sia rischioso alterare in modo significat­ivo certi meccanismi: precisamen­te quanto avvenuto nell ’Antropocen­e. Homo sapiens ha infatti modificato da tempo i parametri ambientali che rendono Gaia vivibile. Secondo i calcoli del Global Footprint Network, viene continuame­nte anticipato il giorno in cui consumiamo tutte le risorse che il pianeta riesce a rigenerare in un anno: combustibi­li fossili, aria pulita, suolo fertile, acqua potabile, piante, metalli. Nel 2019 questo giorno è caduto il 29 luglio. E a meno di non trovare altre fonti di energia, non manca molto al giorno in cui disporremo solo di fonti rinnovabil­i. E se non intervenia­mo, si calcola che ci vorranno più di tre pianeti come il nostro, entro il XXI secolo, per soddisfare la nostra fame di tutte le altre risorse. Ma che cosa ha reso la nostra specie tanto bramosa di energia? Circa due milioni di anni fa, i primi Ho

mo iniziarono a usare l’energia corporea non solo per procurarsi vitto e alloggio, ma anche per costruire strumenti di pietra. Questo aumentava l’efficienza del loro consumo energetico. Poi fu la volta dell’energia termica prodotta con il con-

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