Corriere della Sera - La Lettura
E sì, l’arte della cospirazione è proprio un’arte
Il Met Breuer di New York espone settanta opere (realizzate negli anni tra l’assassinio di JFK e l’elezione di Trump) sull’inganno politico e la manipolazione della realtà. C’è anche il caso Moro
Quello raccontato da Everything is connected non assomiglia per niente all’universo esteticamente perfetto della Calunnia di Apelle (1495) di Sandro Botticelli e neppure a quello tardo-romantico della Luisa Sanfelice in prigione (1877) di Gioacchino Toma. Il mood della «prima mostra al mondo dedicata all’arte delle cospirazione» (al Met Breuer di New York, fino al 6 gennaio) appare piuttosto molto vicino a quello trasmesso dai piccoli mostri che confabulano, accucciati sotto un ponte di legno, sul lato sinistro del Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (1501) di Hieronymus Bosch o dal Bandino Baroncelli, impiccatoper aver partecipato alla congiura dei Pazzi, disegnato (1479) da Leonardo da Vinci. L’imperativo dei curatori (Douglas Eklund e Ian Alteveer) è, d’altra parte, assai chiaro: nessuno spazio alla classicità di un Jacques-Louis David o di un Rembrandt. Le settanta opere di trenta artisti esposte negli spazi dell’ex-Whitney progettato da Marcel Breuer (perfetto nelle sue linee architettoniche, ma anche come scenografia per un interrogatorio in stile Le vite degli altri) dovevano essere state realizzate tra il 1969 e il 2016, ispirandosi a un periodo compreso tra gli anni Sessanta della guerra del Vietnam e dell’assassinio del presidente Kennedy (1963) e il 2016 dell’elezione di Donald Trump.
Siamo davanti a un percorso diviso in due. Scandito dai lavori ben poco aulici di Jenny Holzer, Hans Haacke, Trevor Paglen, Tony Oursler o Emory Douglas, ex «ministro della cultura» del Black Panthers Party che avrebbe