Corriere della Sera - Io Donna
ISOLAMENTO FORZATO Immaginare un futuro diverso per chi sta in carcere
Mi è capitato più volte di entrare in una prigione per parlare di libri e di scrittura con i detenuti. L’esperienza più intensa l’ho provata nella sezione femminile di “alta sicurezza” del carcere di Vigevano, dove le detenute hanno letto le storie che scrivo in questa rubrica, e che sono raccolte nel libro
Sono donne dalle fisionomie così lontane dalla teoria lombrosiana sul delinquente con la faccia sghemba, che viene spontaneo chiedersi cosa mai possano aver fatto di male. Possibile che ragazze così carine, madri di famiglia dall’aspetto dolente e anziane dall’aria protettiva abbiano commesso reati gravi? Le donne con cui ho parlato sono sorelle, figlie, madri, mogli di camorristi, ’ndranghetisti, mafiosi, o trafficanti di droga. Li hanno protetti, non hanno sentito o visto. Alcune hanno contribuito ai crimini famigliari. Nella maggior parte dei casi la loro vita ha iniziato a deragliare già nella culla: se nasci in certe famiglie, se vivi in certe zone, non c’è modo di essere diversa; e se anche sfuggi, se cerchi di ricrearti una vita in un’altra
La scheda di Gelasio Gaetani d’Aragona
città, ci sarà sempre un parente che viene a chiederti aiuto, ospitalità, magari anche una firma e l’intestazione di un conto corrente. Queste donne hanno figli che non possono far crescere, oppure sono finite in carcere prima di averne, e sperano di essere ancora fertili quando torneranno in libertà. Alcune di loro leggono, altre scrivono lettere, magari fanno ginnastica e si tengono in ordine. Molte sono piene di rancore per i processi eterni, perché si sentono incastrate ingiustamente, perché non capiscono o non hanno avuto scelta. Amerebbero bere vino, ma non è concesso, eppure tra le tante cose che possono imparare, per quando torneranno libere, ci sono i vari dignitosissimi mestieri del vino. Ma in carcere è considerato pericoloso come una droga, o forse troppo buono per meritarlo. È alle detenute di Vigevano che penso sorseggiando il vino prodotto a Gorgona, l’isola-carcere. Con storie così tragiche e commoventi, solo un po’ di ebbrezza può aiutare a immaginare per loro un futuro diverso da quello già tracciato.
(l’intenditore)
A Gorgona, l’isola più piccola dell’Arcipelago Toscano, vivono 70 detenuti che scontano antiche pene. Il marchese Lamberto de’ Frescobaldi, laureato in enologia in California, vedeva il carcere di Alcatraz e... meditava. Sarà per questo che, con Carlo Mazzerbo, direttore del carcere di Gorgona, ha progettato un vigneto bio sull’isola. I “vignaioli” sono 12, selezionati fra i 70 detenuti. Da uve Vermentino e Ansonica, il vino è giallo paglierino con tenui riflessi verdolini. Al naso esordisce con note di maracuja e fico d’India che evolvono verso sentori agrumati. In bocca è pieno, sapido, leggermente fresco, intenso e persistente. Annie Feolde, starchef di Enoteca Pinchiorri, lo ha abbinato a un piatto creato ad hoc: Risoni al limone verde e chiocciole. Prezzo 75 euro.