Corriere della Sera - Io Donna
++C’E UN GIUDICE A MILANO
«ancora oggi, malgrado gli interventi di formazione nei confronti delle forze - tutte - di polizia, la donna si sente dire, a volte, di non denunciare il marito perché è sempre il padre dei suoi figli, che bisogna saper perdonare, che poi, se querela, arrivano gli assistenti sociali e le portano via i bambini» (...). «E ci sono gli stereotipi sugli attori del processo. Secondo il comune sentire, una donna sarà il giudice migliore per decidere un maltrattamento o una violenza sessuale familiare proprio per una sorta di vicinanza di genere con la vittima. Ma nel quotidiano del lavoro giudiziario si vedono donne, giudici e avvocate, rapportarsi con il processo in modo maggiormente scomposto rispetto ai colleghi uomini: hanno difficoltà ad identificarsi con una parte lesa che subisce violenze per anni senza reagire a causa della lontananza fra il loro modello di essere donna e quello proposto dalla vittima». Il 25 novembre è stata la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. In tante abbiamo preso la parola, denunciato, commentato. Ma l’intervento sul
di Fabio Roia, presidente di sezione del tribunale di Milano, ha toccato due punti che spesso restano tra le righe. E spiegano perché non sta funzionando come dovrebbe l’intero dispositivo di norme (mai sufficienti), investimenti (spesso dispersi per strada), idee (a volte confuse) che ha come obiettivo il contrasto dei femminicidi. Un caso semplice e straordinario di lui per lei, gli uomini con le donne, per le donne. Perché solo così il nemico, come ha scritto Anna Costanza Baldry, non avrà più le chiavi di casa nostra.