Bambini, l’online non può supplire alle esperienze sociali
Finalmente ci siamo accorti che i bambini non sono cagnolini cui può bastare la passeggiata attorno al condominio, e che non basta nemmeno che ci sia un adulto in casa per essere certi che se ne prenderà cura. La cura è cosa complessa: non è questione di capacità individuali dell’adulto, ma di tutta la collettività nel pensare assieme come garantire «nutrimento» a questi cittadini senza diritto di voto. Anche i bambini sono stati in casa, ma non si può ignorare cosa perdano in quest’improvvisa esperienza d’isolamento sociale piombato nelle loro vite da un giorno all’altro. Gli anni dell’infanzia sono quelli in cui si organizza l’IO che esiste solo se c’è un NOI che lo contenga, ne definisca i contorni, ne riveli le potenzialità attraverso una serie di esperienze relazionali basate sulla corporeità. Prima di arrivare a poter usare la parola per rappresentare il mondo e il SE’ contenuto nel mondo, si ha bisogno di fare esperienze sensoriali che sono la prima sintassi con cui la mente trova conferma di esistere. Non dimentichiamo che a quattro, otto, dieci, sei mesi sono una percentuale non indifferente della vita intera, un tratto in cui si devono fare determinate esperienze, da fare in quel momento o impossibili da recuperare. Non è questione di rimandare un viaggio all’anno dopo, è questione di perdere passaggi importanti nella propria evoluzione psichica. Non sto parlando di generico benessere individuale, ma di qualcosa che struttura in profondità il modo con cui da adulti si vivrà la vita comunitaria; una responsabilità sociale che garantisce la tenuta stessa della democrazia , per la quale il benessere individuale non è solamente un diritto dell’individuo, ma una necessità collettiva, la garanzia che si possono costruire pensieri insieme. La didattica a distanza è un modo per garantire almeno in parte un diritto.
L’enfasi messa sulla didattica a distanza rischia di far perdere di vista l’aspetto sociale della scuola e sarebbe grave se si facesse strada la convinzione che la scuola serva soprattutto a tenere i bambini mentre i genitori lavorano. Ai bambini manca la scuola come luogo sociale, come manca lo sport, la scuola di musica, gli incontri in parrocchia perché sono esperienze sociali. Perfino gli incontri non strutturati al parchetto di quartiere sono fondamentali in questa fase in cui si scopre come la fisicità, il toccarsi, lo stare vicini, mandino segnali relazionali molto più importanti delle parole. È l’età in cui si scopre l’abbraccio, la foto ricordo di gruppo, la pacca sulle spalle, perfino gli scherzi con i quali si mostra che si è diventati capaci di riconoscere e modulare le pulsioni aggressive trasformandole in cameratismo. Per le tabelline può bastare youtube, per queste esperienze no. Conoscere la psicologia non serve solamente per affrontare o prevenire crisi individuali; dovrebbe servire soprattutto a ragionare su quale tipo di società vogliamo. Una società in cui l’istruzione sia pura tecnica per costruire puri tecnici ? O un’educazione che, mentre insegna il congiuntivo insegna anche i fondamenti della democrazia, ovvero lo stare assieme sapendo gestire le conflittualità, accogliendo le difficoltà, riconoscendo una meta comune? Queste sono le domande che ci dobbiamo fare in questo momento se vogliamo dare senso alla frase: i bambini sono il nostro futuro.