Le imprese estere puntano sulla provincia
L’analisi di Aib
Malgrado la scarsa attrattività dell’Italia per gli investitori stranieri, Brescia va in controtendenza grazie alla qualità dei servizi di filiera e delle conoscenze in campo industriale. È quanto emerge da una ricerca di Aib, secondo cui il 10% del fatturato del manifatturiero si deve proprio a multinazionali estere.
Cosa spinge un’azienda a investire fuori dal proprio Paese? Sicuramente la qualità della domanda interna. E poi la stabilità politica, una burocrazia veloce, semplice e trasparente. Oltre ovviamente alla componente fiscale, a quella del costo del lavoro, all’accesso al credito (non solo bancario) e all’infrastrutturazione logistica. Non stupisce dunque che l’Italia continui a perdere attrattività agli occhi degli investitori esteri, finendo nella classifica dell’Aibe (l’Associazione delle banche estere) solo all’ottavo posto dietro non solo a Stati Uniti e Cina, ma anche a economie comparabili come Francia, Germania, Regno Unito e, addirittura, Spagna.
È dunque un fattore di merito non così scontato che, in provincia di Brescia, il 10% dei ricavi complessivamente generati dal comparto manifatturiero e il 10,3% del valore aggiunto derivante sia stato generato, nel 2019, da imprese e società a partecipazione estera.
Un fenomeno «decisamente rilevante, soprattutto se si considera che rappresentano solamente il 2,1% della popolazione di riferimento», sintetizza l’Ufficio studi di Aib, che ha realizzato l’analisi mettendo in fila le società di capitali estere con un fatturato superiore al milione di euro presenti in provincia con partecipazioni di controllo o comunque al di sopra del 25% delle azioni. Dalla mappatura emerge come siano presenti 103 imprese locali a partecipazione estera, in grado di produrre un volume d’affari pari a 3,6 miliardi di euro, un valore aggiunto che si aggira intorno ai 918 milioni di euro e un totale di quasi 9.700 addetti, pari all’8,8% dell’intera popolazione occupata nelle attività industriali.
«Numeri — ragiona il presidente della territoriale di Confindustria, Giuseppe Pasini — che, a maggior ragione nell’odierna situazione legata all’emergenza sanitaria, possono risultare utili per comprendere quali saranno gli sviluppi futuri dell’economia bresciana, insieme alle modalità per superare le attuali difficoltà». Secondo Pasini, infatti, Brescia si conferma un importante hub da cui le multinazionali vendono prodotti in ogni parte del mondo, in particolare verso l’Unione europa, oltre che un non secondario polo di riferimento per l’innovazione. «Un dato — prosegue — in continuità con quanto riscontrato negli scambi con l’estero, con una proiezione internazionale del made in Brescia particolarmente focalizzata sul Vecchio Continente e sull’America settentrionale».
Il censimento effettuato ha permesso di fotografare il fenomeno dal punto di vista delle aree geografiche di provenienza degli investitori. Al primo posto si colloca l’Unione Europea, che conta 52 imprese bresciane partecipate con quasi 4.500 addetti. Seguono l’America settentrionale (25 imprese con 2.511 addetti) e l’Asia (14 imprese con 1.778 addetti). Per quanto riguarda i singoli Paesi di provenienza, invece, è la Germania a ricoprire la prima posizione, con 26 aziende partecipate e quasi 2.400 addetti, seguita dagli Stati Uniti (23 imprese, 2.334 addetti). Dal punto di vista settoriale, i comparti metalmeccanici risultano i più interessati dal fenomeno: al primo posto si posizionano gli operatori dei macchinari e apparecchiature (25 imprese partecipate con 2.154 addetti), seguiti dal chimico, gomma e plastica (16 realtà produttive con 1.454 addetti) e dai prodotti in metallo (16 aziende con 1.047 addetti).
Ma, considerate le criticità evidenti che un Paese come l’Italia sconta nell’attrarre capitali stranieri — altro esempio è la marginalità delle operazioni di venture capital sulle nostre start up e scale up: 597 milioni di euro nel 2019 di cui la metà dall’estero contro i 3,4 miliardi di Uk, gli 1,3 della Germania e gli 1,2 della Spagna — quali sono i fattori di attrattività del bresciano per spiegare questa controtendenza? Per l’Ufficio studi di Aib bisogna tornare ai fondamentali del modello locale, cioè al know how diffuso e stratificato nelle generazioni sul territorio e, di conseguenza, all’affidabilità del tessuto imprenditoriale che sa farsi meta-distretto, garantendo cioè rapporti di fornitura reattivi ai nuovi microcicli della domanda e metodi collaborativi spesso informali ma capaci di far emergere innovazione di prodotto e, soprattutto nel caso del metalmeccanico, di processo. «In generale — conferma il numero uno di Aib — il giudizio sui fattori competitivi di Brescia è positivo per i tradizionali punti di forza del made in Brescia, anche se la valutazione lascia spazio a margini di miglioramento. Qualche riserva è legata infatti, riflettendo quanto è evidente a livello nazionale, soprattutto alla pressione fiscale e alla lentezza della burocrazia. In tal senso servirà continuare a lavorare nel prossimo futuro, investendo ancor di più in infrastrutture come risorse umane e ambiente, ma anche nel territorio, al fine di essere sempre più attrattivi».
Il posizionamento
Il nostro Paese è ottavo nell’Aibe Index dietro ai suoi principali competitor europei
La strategia
I grandi gruppi stranieri considerano il nostro territorio un hub commerciale centrale