Stop delivery il Tar conferma
Rigettata l’istanza della Regione. Massoletti: Continueremo le consegne
Il Tar di Milano ha respinto l’istanza di Regione Lombardia e confermato lo stop alla vendita online di generi non di prima necessità. Sospese anche le grandi piattaforme.
Il diavolo non veste Prada (almeno in cattività): inviperito dai domiciliari, dalle tute antiestetiche e dalle ciabatte indossate per lo smart working, il popolo lombardo non può ordinare abiti (e prodotti che non siano di prima necessità) online. Nemmeno sulle piattaforme globali dell’e-commerce.
Tra i giudici, la Regione e i commercianti volano gli stracci haute couture: il presidente del Tar di Milano Domenico Giordano ha confermato il decreto di giovedì scorso. Testuale: «Il commercio da remoto è consentito per i soli generi alimentari e di prima necessità». Il verdetto definitivo è fissato al 13 maggio: deciderà il Collegio.
Premessa: il 22 aprile, dopo il ricorso di Cgil, Cisl e dei sindacati dei trasportatori, il presidente del Tar aveva sospeso la consegna a domicilio di tutti i prodotti non inclusi nell’allegato 1 del Dpcm del 10 aprile che invece era stato autorizzato dalla Regione con l’ordinanza n. 528. Dopo aver consultato i suoi legali, Palazzo
Lombardia ha fatto ricorso ma Giordano ha rigettato l’istanza della Regione, confermando il decreto e ponendo principi generali che, secondo l’avvocato Stefano Lovati, «avranno un fortissimo impatto quanto meno fino al 17 maggio (la data di scadenza del Dpcm che entrerà in vigore il 4 maggio, ndr). Tale ferma presa di posizione — spiega — ha effetti dirompenti in quanto, per come è formulata, riguarda non solo i piccoli commercianti ma anche tutti quelli che utilizzano la vendita a mezzo di piattaforme ecommerce, che potrà continuare solo per i generi alimentari e di prima necessità».
Per Carlo Massoletti, vice presidente di Confcommercio Lombardia, la decisione del Tar «è illogica, soprattutto ora che si sono allungati i tempi della ripresa del commercio al dettaglio, prevista il 18 maggio». Molti suoi colleghi stanno continuando con il delivery: «La Regione — dice — non ci ha dato un’autorizzazione formale per proseguire, ma ai miei associati dico di far riferimento all’indirizzo dato dal governo». Che consente di vendere online o su altri canali telematici qualsiasi prodotto, purché impacchettato e consegnato rispettando i requisiti igienico sanitari fino all’ultima virgola.
Il pret-à-porter (dal magazzino alle clienti) prosegue anche da Penelope: il negozio si appoggia a Farfetch, piattaforma del lusso globale cui sono iscritte oltre 700 boutique e che, per il Tar di Milano, non potrebbe lavorare in
Lombardia . «In questo momento di futuro incerto e tante incognite — fa sapere Roberta Valentini, la proprietaria di Penelope — l’online resta l’unica risposta, anche se non so se possa salvare il settore. Speravo che il nuovo Dpcm del governo ci venisse incontro. Ma sembra che la parola moda, un settore che in Italia ha un valore pazzesco, faccia paura».
Dai manichini all’ultima gruccia, Penelope si è protetta dal coronavirus con un sofisticato trattamento disinfettante: «Il negozio è stato sanificato e i miei dipendenti stanno lavorando in modo sicuro» dice. La gente tornerà in camerino «ma ormai la stagione è conclusa. Immagino che il 18 maggio chiunque riaprirà con i saldi».