La vittoria di chi non si è arreso e non cercava vendetta
Non si è arreso. E non ha mai bramato vendetta pur dedicando la vita alla «pretesa», legittima, di verità e giustizia. Affinché chi verrà dopo di noi potesse dire che la strage di piazza Loggia non è rimasta impunita. Lo abbiamo già detto e scritto noi, troppo a lungo. Manlio Milani è l’anima di Casa della Memoria: insieme a un esercito di avvocati di parte civile (più e meno giovani) ha portato avanti fino in fondo il desiderio di riabilitare lo Stato abbinando nomi e cognomi ai responsabili dell’attentato che il 28 maggio del 1974 si portò via la sua giovane moglie e altri sette attivisti che stavano manifestando contro il terrorismo. La Corte di Cassazione, riconoscendo nero su bianco i depistaggi di alcuni apparati dello Stato, ha definitivamente condannato all’ergastolo il presunto regista della strage, Carlo Maria Maggi, e colui che non l’avrebbe impedita, l’ex fonte del Sid Maurizio Tramonte. Ed è proprio Manlio, adesso, a tendergli la mano: «Se riconoscerà questa sentenza, sono pronto a parlare con lui. Dica quello che sa». Lui, però, continua a sostenere la sua innocenza.
«Mi sento finalmente riconciliato fino in fondo con le nostre istituzioni democratiche» disse Manlio dopo il verdetto. «E nello stesso tempo posso dire che quegli otto compagni morti per la bomba adesso possono riposare in pace», perché «attraverso il senso della giustizia abbiamo riscoperto anche il senso del perché, quella mattina, eravamo in piazza». Contro la violenza. E se finalmente «ha vinto la democrazia», è ai giovani che Manlio Milani, 43 anni dopo, lascia in eredità «una nuova narrazione di questa Strage»: punita. ascrivibile alla destra e alla collusione di chi, invece, la democrazia avrebbe dovuto proteggerla.
Da qui riparte la Storia, insomma. Quella che non la puoi spiegare solo con centinaia di faldoni, con le inchieste fiume e con la determinazione di chi, come Manlio, non ha mollato mai. Quella impressa nella commozione e nel sollievo, nelle lacrime e nella fatica di tutti coloro per i quali ne valeva la pena. Perché anche grazie a loro questa città, di quella ferita che è la Strage, ha fatto il punto fermo della propria coscienza civile. Dalla memoria al futuro. Anche se la parola «ergastolo», fa male anche a Manlio: «Fare giustizia — come dice lui — non può e non deve risolversi solo nell’applicazione di una pena. Manlio, la sua pazienza e la sua perseveranza, l’«eroe mite» dall’umanità dirompente, che Brescia vorrebbe senatore a vita: sono già state raccolte oltre 1250 firme.