Le autopsie rivelatrici Lo studio su The Lancet
Dopo i primi esiti è iniziato l’uso degli anticoagulanti
L’articolo non era ancora stato pubblicato, ma nella sua fase preliminare in 200 mila l’avevano già letto on line. «Numero incredibile», si stupisce Andrea Gianatti, direttore di Medicina di laboratorio e Anatomia patologica del Papa Giovanni. Ma ci sono molte ragioni, visto che quello studio, ora pubblicato dall’importante rivista scientifica «The Lancet», era il primo a descrivere cosa succede nei polmoni colpiti da coronavirus. Questo perché l’équipe del Papa Giovanni, e quella del Sacco di Milano che ha condiviso lo studio, erano le uniche ad effettuare autopsie su pazienti Covid. Sono state 38 quelle confluite nella ricerca, ma da allora a Bergamo ne sono state fatte un centinaio. «Oltre ad essere stati i primi a descrivere gli effetti del virus sui polmoni — spiega Gianatti — è stato importante trovare un quadro analogo ad altri polmoniti da coronavirus come Sars e Mers. E scoprire che l’aspetto più caratteristico dal punto di vista vascolare è la formazione di trombi, cosa che ha confermato la predisposizione notata dai colleghi in ambito clinico. Da qui si è arrivati all’utilizzo degli anticoagulanti». Lo studio è finora unico al mondo nel suo genere e apre le porte a nuove terapie, soprattutto nelle zone ancora in piena emergenza: «Altrove non si sono fatte autopsie e quindi si conoscono meno la malattia e i suoi effetti. Ora vedere che si può agire sulla coagulazione del sangue può cambiare le regole. Soprattutto nel mondo anglosassone, dove i protocolli sono molto rigidi ma dove la pubblicazione dello studio su una prestigiosa rivista scientifica può contribuire a modificare l’approccio terapeutico. In Italia invece si è cominciato a parlarne a metà marzo e fuori dalla Lombardia molti ne hanno beneficiato: abbiamo contribuito a salvare molte vite». Questo non significa automaticamente che ora il Covid sarà trattato con gli anticoagulanti: «Noi abbiamo fornito la prima base, ora serviranno dei trial clinici di controllo per vedere gli effetti e capire gli standard da applicare ai pazienti. Sempre sperando che non ci sia da affrontare un’altra guerra».