«I giorni sul fronte del cimitero e la rivoluzione digitale in 10 ore»
«Abbiamo fatto la rivoluzione digitale in dieci ore»
Tra le otto deleghe che gli ha assegnato Giorgio Gori, Giacomo Angeloni ha anche i Servizi cimiteriali e l’Innovazione. Due aree che, da quando è arrivato il coronavirus, sono diventate cruciali. Con il lockdown si è dovuta riorganizzare la macchina comunale, metà dei dipendenti oggi lavora da casa. Nel frattempo il cimitero di Bergamo è diventato il luogo simbolo del dolore. Venticinque sono stati i viaggi con i camion militari per portare le bare ai forni crematori di altre province. E a tutte le partenze, Angeloni ha voluto esserci.
Una battuta fa fischiare da anni le orecchie di Giacomo Angeloni: gli hanno rifilato le deleghe scartate dagli altri assessori della giunta Gori. Cimiteri e innovazione. Lui non è permaloso e ci ride su. A febbraio 2020 arriva il coronavirus e la battuta non fa più ridere. Con il lockdown c’è una macchina comunale da riorganizzare, metà dei dipendenti oggi lavorano da casa. Nel frattempo il cimitero di Bergamo diventa il luogo simbolo del dolore, non solo della città ma dell’intero Paese. Venticinque viaggi di bare inviate con i camion militari ai forni crematori di altre province. «Sono stato presente a ognuna di quelle partenze», racconta l’assessore.
Partiamo dall’inizio. Quando emergono i primi casi di coronavirus in provincia di Bergamo, cosa succede in Comune? «Dalla mattina dopo abbiamo costituito un gruppo di lavoro di dirigenti e funzionari per occuparsi soprattutto del tema degli assembramenti nei luoghi pubblici. Da subito abbiamo contingentato anche gli accessi ai nostri uffici e aumentato la frequenza delle sanificazioni».
Però in quei giorni il sindaco Gori ha lanciato una campagna all’insegna del riaprire tutto. Una scelta concordata con la giunta?
«No, il sindaco ha rilanciato quella campagna di commercianti e industriali senza passaggi in giunta. Però in quel momento c’era confusione, medici che parlavano di un virus simile a quello influenzale. Certo, circolava anche molta preoccupazione».
Quando avete preso coscienza della gravità della situazione?
«Nella prima settimana di marzo i decessi sono aumentati in modo impressionante: 18 al giorno, quando nel 2019 erano 4 al giorno, ci sembravano già numeri incredibili. Ricordo che sabato 7 marzo avevo gli impiegati dello Stato civile al telefono, erano sotto pressione, 12 denunce di morte non si erano mai viste in un giorno solo».
A quel punto cosa avete fatto?
«Nell’ultima seduta di giunta che si è tenuta con gli assessori fisicamente a Palazzo Frizzoni, abbiamo deciso sia di tenere le nostre sedute online, sia di digitalizzare i processi che portano alle delibere. Contemporaneamente abbiamo iniziato a organizzare lo smart working dei dipendenti. Siamo partiti da 30 persone che lavoravano da casa a inizio marzo, nel giro di una settimana erano 200, oggi sono quasi la metà degli 890 dipendenti comunali».
Quali sono state le difficoltà maggiori nel traslocare gli uffici nelle case dei dipendenti?
«Ci sono state questioni tecniche, siamo passati a una
vpn (sistema per accedere da remoto ai pc aziendali, più leggera, bypassando in 10 ore questioni di privacy su cui si discuteva da anni. C’è stata qualche resistenza interna sul tema della digitalizzazione delle firme. Bisogna pensare che una delibera cartacea, prima di essere approvata, viaggiava per ore dall’ufficio di un
dirigente a quello di un assessore, che magari è in una sede decentrata, per poi tornare a Palazzo Uffici e infine a Palazzo Frizzoni. Ore di lavoro risparmiate».
Una rivoluzione digitale obbligata da eventi tragici.
«È forse l’aspetto migliore di questa vicenda tragica, a inizio mandato l’obiettivo era
il 10% di smart working. Ci sono stati cambiamenti che resteranno anche per il futuro».
Negli stessi giorni la situazione al cimitero diventava sempre più pesante.
«Abbiamo concordato con l’Ats di utilizzare la chiesa del cimitero anziché le palestre, come si era pensato, per dare maggiore dignità a quelle persone. A inizio marzo abbiamo chiuso il cimitero con la motivazione ufficiale di impedire che gli anziani prendessero i bus. In realtà volevamo soprattutto evitare che i cittadini venissero sconvolti alla vista di tutte quelle bare».
Cosa che poi è successa con le immagini dei camion militari che trasportavano i feretri.
«Abbiamo pensato a lungo, con il sindaco e le altre autorità, cosa fosse meglio fare. Alla fine l’opzione dei militari è risultata la migliore. Era impensabile accollare centinaia di euro di spese alle famiglie per trasportare le salme ai forni crematori fuori provincia. Comunque la Prefettura voleva evitare che il trasporto fosse troppo vistoso, quindi abbiamo fatto partire i convogli in serata. Poi sono state pubblicate le foto e il giorno dopo in città ho percepito il terrore per quello che stavamo vivendo. È un’immagine che però è servita a far prendere coscienza a tutto il mondo di quanto stava succedendo a Bergamo».
Quante telefonate ha ricevuto sul suo numero privato, dopo averlo messo a disposizione dei famigliari delle vittime?
«Anche 80 al giorno. Persone che cercavano di capire dove fossero le bare o le ceneri dei propri cari. Un giorno mi ha chiamato una ragazza di 19 anni. Era morto suo padre e tutta la famiglia era in quarantena. Mi ha chiesto di fare un video della sepoltura, il giorno dopo sono andato alla tomba e le ho fatto avere quelle immagini».
Da tutto questo dolore cosa ha ricavato?
«Ad esempio la collaborazione con sindaci politicamente molto lontani da me, come Cristian Vezzoli di Seriate e Marzio Zirafa di Ponte San Pietro. E poi c’è stata la storia di questi due marocchini. Lei ha preso il virus, a lui è venuto un infarto ed è morto. Il giorno dopo è morta lei. Il sindaco di centrodestra del loro paese mi ha chiamato e mi ha spiegato che avrebbero voluto essere sepolti vicini, anche se l’Islam lo vieterebbe. Con l’aiuto della comunità musulmana ci siamo riusciti. Ora sono insieme nel cimitero islamico di Bergamo».
La telefonata
Una ragazza di 19 anni mi ha chiesto di fare un video alla sepoltura del padre. Loro erano tutti in quarantena
Giacomo Angeloni assessore