‘Ndrangheta, tre arresti anche nella Bergamasca
In carcere due imprenditori di Grassobbio e Sedrina Il terzo era in cella per altri reati, come i suoi nipoti
Ci sono anche tre abitanti in Bergamasca fra i 334 arrestati nella maxi operazione anti ‘ndrangheta di Catanzaro.
L’ultima volta che la famiglia ‘ndranghetista dei Bonavota di Sant’Onofrio erano arrivati nella Bergamasca fu 27 anni fa. All’epoca Fedele Cugliari, braccio destro del boss Vincenzo Petrolo e protagonista di una faida per il controllo del territorio, si era nascosto a Zingonia. Il 10 giugno 1992 venne raggiunto sulla provinciale fra Capriate e Boltiere e assassinato. L’episodio viene rievocato nelle 1.263 pagine dell’ordinanza con la quale il gip del tribunale di Catanzaro ha fatto eseguire ordinanze di custodia nei confronti di 334 indagati (tra cui tre abitanti in provincia di Bergamo), molti dei quali fanno appunto capo a quella cosca. E che sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, detenzione di armi, traffico di stupefacenti, truffe, turbativa d’asta, traffico di influenze e corruzione. Tra loro, 260 sono in carcere, 70 agli arresti domiciliari e 4 hanno avuto il divieto di dimora.
Il comunicato stampa dell’operazione ha la data di oggi, perché l’intervento sarebbe dovuto scattare stamattina. Ma gli investigatori si sono accorti di una fuga di notizie e hanno anticipato tutto, mettendo in azione duemila carabinieri del Ros di tutta Italia. Sono stati però i militari della
Compagnia di Bergamo a occuparsi dei tre abitanti in provincia, ritenuti responsabili di reati commessi altrove.
È stato portato in carcere Attilio Bianco, 68 anni, imprenditore in pensione di Grassobbio e abitante a Bergamo (anche se ufficialmente ha residenza nel Reggiano). È accusato di riciclaggio e associazione mafiosa in concorso. Secondo l’accusa avrebbe fatto da collettore di denaro di derivazione illecita messo a disposizione da referenti dell’organizzazione mafiosa. Per loro conto, nel 2004 avrebbe eseguito una transazione da 3 milioni e 200 mila euro. Con quel denaro uno degli arrestati avrebbe riacquistato all’asta, attraverso una società fiduciaria del Principato del Liechtenstein, un albergo di proprietà del fratello a San Giovanni Rotondo (paese meta del grande turismo religioso nel nome di Padre Pio) e al centro di una procedura fallimentare.
È in carcere anche Nicolino Pantaleone Mazzeo, 39 anni, imprenditore di Vibo Valentia abitante a Sedrina. Le accuse per lui sono di furto e associazione mafiosa. Oltre alla partecipazione «con compiti esecutivi» all’associazione mafiosa, Mazzeo è accusato di un vasto traffico illecito di capi di bestiame rubati e smarriti, e trovati nel 2016 nei suoi terreni nel Vibonese. Gli investigatori hanno ricostruito una serie di furti di mucche effettuati di notte con furgoni a fari spenti che percorrevano strade prive di telecamere.
Il terzo è una vecchia conoscenza delle cronache bergamasche, tanto che l’ordinanza gli è stata consegnata nella sua cella del carcere di via Gleno dove da febbraio sta scontando una condanna definitiva a 5 anni e mezzo per estorsione e rapina aggravata in concorso. Si tratta di Giuseppe «Pino» Romano, 60 anni, di Briatico ma che ha vissuto a lungo a Romano di Lombardia. Stavolta, oltre all’associazione mafiosa, è accusato anche di porto abusivo di armi. Questo perché, secondo l’accusa, tre anni fa aveva nascosto una pistola che era stata usata per ferire un uomo. Lo sparatore e il ferito erano i fratelli Francesco e Paolo Romano, nipoti di Pino. Proprio quelli che un mese fa sono stati arrestati per sequestro di persona, estorsione, rapina, lesioni e minacce: avrebbero picchiato un imprenditore di Dalmine per farsi dare del denaro per conto di un suo creditore di Ponteranica. Anche loro sono coinvolti nella maxi inchiesta e anche a loro l’ordinanza di custodia è stata consegnata in cella.
Le accuse Per tutti e tre l’associazione mafiosa, e poi riciclaggio, furto o possesso di armi