Coca e caffè, la doppia vita del tabaccaio
Senago, in carcere insospettabile commerciante: nella sua villa-bunker anche armi e tanto denaro
Non fare nomi. Mai. L’avvertimento era questo. La paura, per Vito Angelo Caruso, 44 anni e qualche precedente penale alle spalle, arrestato nell’autunno di due anni fa per il possesso di un chilo e mezzo di cocaina, era tale da non fargli reggere più la tensione. Lo hanno trovato impiccato in cella, con le lenzuola annodate al collo. Un suicidio, secondo la polizia, causato dalle pressioni dell’ambiente malavitoso che gestiva lo spaccio sopra di lui, che era un pesce piccolo.
Un giro che inondava i comuni della Brianza nord, le cui fila erano rette da Antonio Mazzitelli, 33 anni, origini calabresi, titolare di una tabaccheria a Senago, e ora destinatario di una misura cautelare in carcere eseguita dagli agenti del commissariato monzese, diretto da Angelo Re, al culmine dell’indagine coordinata dal sostituto procuratore Rosario Ferracane. Assieme a Mazzitelli, nella cui villa-bunker di Senago sono stati trovati oltre 160 mila euro in contanti, una pistola semiautomatica calibro 9 rubata nel Monferrato, e 4 orologi Rolex, sono state raggiunte da misura restrittiva altre tre persone. Tra queste anche la 34enne I.P., di Paderno Dugnano, fidanzata e complice nello spaccio di Caruso, morto suicida nel carcere di Monza a novembre 2016.
Gli inquirenti non ipotizzano alcun reato di istigazione al suicidio, ma pensano che dietro al gesto estremo dell’uomo, ci fosse il timore della malavita. All’epoca, gli inquirenti stavano già indagando su un giro di coca nella provincia brianzola, che girava soprattutto tra bar e locali notturni della zona. Alcune intercettazioni, effettuate durante i giorni di permanenza di Caruso nella casa circondariale, hanno consentito di arrivare al livello superiore dei traffici. In particolare alla figura di Mazzitelli.
Personaggio dalla doppia vita, per gli investigatori. L’apparenza salvata dall’attività lecita della tabaccheria, pubblicizzata su Facebook, con lui in posa, sorridente alla cassa.
In realtà, un uomo capace di muovere ad ogni affare dai tre ai cinque chili di cocaina purissima.
Uno (a parte le due borse piene di contanti suddivisi in mazzette da 10 mila euro ciascuna) con un nascondiglio segreto ricavato all’interno di una stufa a pellet. E con i Rolex (sui quali sono in corso accertamenti), la Bmw, uno scooter T-Max, e l’arredamento di lusso in casa, anche se, in giro, non cercava di ostentare più di tanto le sue disponibilità finanziarie, per non attirare l’attenzione.
E con una villa di dimensioni non eccessive, ma sorvegliata da un sofisticato impianto di videocamere installate lungo tutto il perimetro esterno della proprietà.
Mazzitelli, stando a quanto ricostruito, non era certo il tipo che teneva in casa la «roba». Altri lo facevano per lui. Come il suicida Caruso, per esempio, trovato con la droga in un garage di Seregno, dai detective della Squadra Mobile. O come un altro calabrese di Senago (arrestato nel 2016 dagli agenti del commissariato Garibaldi Venezia con un chilo di coca e altri due di hashish) che si è addossato interamente la responsabilità della partita di droga che custodiva per conto di Antonio Mazzitellli.
Ai livelli inferiori, nella gerarchia dello spaccio, i poliziotti della Squadra investigativa hanno individuato una rete di spacciatori al dettaglio, sparsi in tutti i comuni della Brianza, da Vedano al Lambro, a Meda, da Muggiò fino ad altre province lombarde.
Le indagini L’inchiesta è partita dal suicidio di un detenuto causato dalle pressioni dei narcotrafficanti