LE GUERRE E I SACRIFICI
La cronaca, forse il destino, giocano scherzi curiosi, provocano coincidenze dettate dal caso, ma che come casuali non possiamo considerare. Ieri il Corriere riportava contributi che, nell’anniversario di Caporetto, ricordavano il ruolo dei bergamaschi nella Grande Guerra; e un commento di Aldo Cazzullo che legava quella storia all’attualità del referendum sull’autonomia. Ma in taglio basso c’era anche l’intervista a Claudio Locatelli, un ragazzo di 30 anni che è andato volontario coi curdi a combattere l’Isis.
Nella stessa pagina, storie di reduci separate da più di un secolo. Quelle dei ragazzi nati nell’Ottocento e andati a combattere nelle trincee della Prima guerra mondiale; e quella, raccontata con parole asciutte e per niente compiaciute, di Locatelli, fedele alle sue idee fino alla scelta estrema di prendere in mano un fucile.
Ci sono risonanze strane, in questo incrocio. Penso a come siamo arrivati a un referendum «soft» dopo il secessionismo bossiano delle «trecentomila doppiette»; penso alle migliaia di soldati italiani morti per riconquistare il Veneto dopo Caporetto e al Veneto che oggi reclama un’«autonomia» che sa di indipendenza; a Locatelli che, mentre qui molti pontificano contro l’invasione dei migranti «terroristi», decide che le chiacchiere stanno a zero e che i jihadisti li si combatte con le armi in pugno. In questa confusione che tra qualche decennio gli studiosi chiameranno «Storia» si agita uno spettro: quello dell’identità. Chi siamo, cosa rappresentiamo, per cosa combattiamo? E cosa — e quanto — siamo disposti a sacrificare?