Alle origini OROBIE delle
Siamo alla confluenza del torrente Ogna che nasce in Presolana, a 1.700 metri, e per 12 chilometri scorre sino al Serio, attraversando, dopo averle plasmate, magnifiche espressioni della montagna come la Valzurio. Una manna per chi ha assimilato l’idea delle connessioni naturali, come Mariantonia Ferracin, geologa nativa di questi luoghi. Una donna che nella Scienza della Terra ha trovato quella visione poetica che rimanda a grandi geni come Alexander Von Humboldt, scienziato tedesco vissuto a cavallo tra ‘700 e ‘800. Ferracin sa dove cercare il microcosmo che tutto rappresenta, le Orobie: «Mi piace osservare i ciottoli di un fiume e ricollegarli ai versanti da dove provengono per lasciare a loro il racconto dell’origine geologica del territorio. Nel fiume scorre un racconto antico e in pochi metri vediamo le connessioni grazie al tipo di pietre raccolte nel suo letto, che inducono a domandarci quali montagne, con la loro storia, lo caratterizzano».
Laureata nel 1998 a Milano, appoggiandosi al CNR di Bergamo, nelle carte geologiche e nelle esplorazioni Ferracin ha intravisto la traccia delle risposte alle innumerevoli domande che quella rete di connessioni pone ogni giorno e che appare in cammino, facendoci muovere dentro gli spazi capaci di rivelarne l’unitarietà, lì dove si ascolta la Terra raccontare il suo tempo.
Da qui, dove l’acqua che era nel ventre della montagna entra nel fiume (foto 4), ci addentriamo verso una forra: le pieghe nella roccia dicono che «siamo su un terrazzamento fluvio-glaciale, nel Pleistocene, l’infanzia delle Orobie ( foto 3), due milioni di anni fa, quando l’azione della terra ha piegato le rocce mentre il Serio scorreva dove ora c’è Villa d’Ogna».
Scendiamo nel fiume: Mariantonia Ferracin osserva l’acqua, ma la sua visione è già altrove, a monte: «A poca distanza da qui, a Novazza, si trovano rocce dell’era Precambriana, ed ecco che in un attimo siamo a tre miliardi di anni fa, all’origine della Terra. Qui siamo davanti alla roccia più giovane che abbiamo e che non è sciolta, ma litificata, ovvero solida; ora pensiamo a quando tutto, nelle Alpi, ebbe inizio: tra il Mesozoico e il Cenozoico ci fu lo scontro tra le zolle tettoniche, è il periodo in cui si formarono questi sedimenti mossi che vediamo tutt’intorno a noi, oggi. Ogni elemento è sempre collegato dentro al grande movimento in itinere che ci raccontano quelle pieghe». Siamo affacciati su qualcosa di inimmaginabile — e non ci siamo mossi di un passo —: il processo di formazione delle montagne, parla ai sensi e comunica alla mente, ci fa viaggiare. La poetica geologica di Mariantonia Ferracin ricorda Goethe che disse a Von Humboldt come la scienza avesse bisogno di realizzazione poetica emozionale per arrivare a tutti. Penso al formidabile libro di Andrea Wulf nel recente L’invenzione della natura e la geologa Ferracin è attenta alla continuità della creazione, la chiave per aiutarci a capire come riconnetterci al territorio.
«Ora andiamo in un posto molto speciale delle Orobie, in Valsanguigno,sul versante idrografico sinistro alla cascata di Sersen, una delle più belle del torrente ( foto 5); qui il genius loci è verticale, un vero luogo di incontri e trasformazioni. Qui amo pensare a cosa abbiamo intorno, l’acqua mi invita verso il pizzo Tre Confini, al laghetto di Bon- dione, o alla piana di Lizzola dove la terra racconta l’infinito e la roccia si trasforma in ghiaia ( foto 1). Lì si capisce d’istinto che l’orogenesi non è finita, proprio come qui dove l’orizzonte geologico è verticale. Tutte le ere sono una sopra l’altra, se si sale di quota si vedrà la montagna ringiovanire».
L’acqua si diffonde sulla roccia madre, casca per decine di metri, prosegue la corsa verso il Goglio. Una pietra ci parla di una montagna unica, il Cabianca (foto 2), poco lontano: «Risale al Permiano, 280 milioni di anni fa, e vi si trovano resti vulcano-sedimentari. Ecco il Basamento Cristallino, la roccia madre del Paleozoico inferiore, l’Era Primaria. Durante il lavoro di ricerca per la tesi in quest’area trovai questa rara formazione — spiega Mariantonia Ferracin —: è una roccia importante perché la sua presenza, riscontrata durante quei rilievi geologici, ha confermato l’ipotesi di un ingegnere minerario sull’esistenza di un deposito vulcano-sedimentario contenente plagioclasio».
Il suono del torrente è il paesaggio sonoro che imprime nella mente il cuore orobico, mentre comprendo quale viaggio racconta il contatto fra il Basamento Cristallino — roccia metamorfica — e la prima roccia sedimentaria, il Conglomerato Basale, prodotto dall’erosione e dall’accumulo del Basamento Cristallino, la nostra roccia madre.
Sono i nostri nomi per il tempo della terra, che Mariantonia Ferracin pronuncia come connessioni vitali nella rete naturale: «Per vedere la formazione del Conglomerato Basale la roccia madre deve spaccarsi. Si pensi a una pigna che cade e getta i semi: è quello che fa la roccia madre frantumandosi, quando genera detriti che nel tempo si litificano e generano altra roccia».