La guida dei vini 2017 Tra le 100 etichette la «top ten» di Cerea
Chicco Cerea, chef tristellato della Michelin, ha scelto 10 bottiglie tra le 100 classificate nella guida dei vini in edicola con il Corriere (12,90 euro oltre il prezzo del quotidiano), curata da Luciano Ferraro e dal sommelier Luca Gardini.
Il vino, esaltandosi, sa esaltare quel che metti nel piatto
«Il vino dovrebbe essere mangiato, è troppo buono per essere solo bevuto», sosteneva lo scrittore e poeta irlandese Jonathan Swift. «Sono d’accordo», afferma sorridendo Chicco Cerea, preso al volo tra un fornello e l’altro. «E va gustato, assaporato con calma. Quella che a me manca sempre». Il trafficato chef bergamasco esprime nei confronti del vino e della produzione vitivinicola italiana un’ammirazione doppia, come tristellato e come imprenditore. «Perché il vino, esaltandosi, sa esaltare quello che metti nel piatto. Le due cose vanno in simbiosi. E perché certe etichette sono un riconoscimento all’intraprendenza imprenditoriale di chi, amando la terra e coltivandola, ha fatto investimenti i cui risultati sono apprezzati in tutto il mondo». L’equazione è semplice, secondo Cerea, che ha scelto 10 etichette tra le 100 citate nella guida dei vini del Corriere, a cura di Luciano Ferraro e del sommelier Luca Gardini: «Sono vini conosciuti a livello internazionale e, dunque, non c’è bisogno di spingerli, di proporli al cliente. È un piacere anche solo averli in lista. Ti aiutano a far bella figura». A cominciare da un grande classico. La fama precede il nome del Brunello di Montalcino. Le due etichette di terra senese che Cerea mette in questa personalissima «wine top ten» sono il Brunello di Poggio di Sotto del 2012 e il Brunello di Salvioni sempre del 2012 (estate calda e secca). «Il primo è apprezzatissimo dai nostri ospiti stranieri. Anzi, diciamo pure che ne vanno matti». L’etichetta pluripremiata fa capo al gruppo Colle Massari, controllato dai fratelli Maria Iris e Claudio Tipa, imparentati con l’imprenditore Ernesto Bertarelli(fondatore del team Alinghi). «Il secondo può essere sintetizzato così: da non perdere. Ha un nome di un’importanza tale che si propone da solo». Dalla Toscana al Piemonte. Nella Cerea-parade va il barbaresco Roagna Vecchie Viti Pajè 2010: «Da assaggiare perché in questo vino viene raccontato il sapore delle vigne» e il barbaresco Valeirano 2013 La Spinetta dall’inconfondibile etichetta con il rinoceronte disegnato. «È un vino che esprime tutta la ricchezza della terra di Piemonte, per tradizione e prodotti un’eccellenza enogastronomica. Basti pensare anche solo al tartufo bianco». Tra le calde terre del sud, Cerea segnala il Primitivo di Manduria Raccontami, prodotto in provincia di Taranto nella masseria di proprietà di Vespa (Bruno, il giornalista). «Non li conosco molto, ma i vini del Mediterraneo, soprattutto pugliesi e siciliani, sono in grande recupero». Da provare il Montepulciano d’Abruzzo 2013 di Marina Cvetic, un vino di grande pulizia dal bouquet intenso e complesso, con profumi di frutta rossa e sentori speziati(«Un grande connubio di finezza strutturale») e il Flaccianello della Pieve 2012 di Fontodi («Non può mancare nella cantina. È un toscano che “fa il palato”, aiuta ad affinare la degustazione»). Prodotto solo nelle migliori annate, da uve sangiovese è un vino che non teme, anzi ama, il trascorrere del tempo. Esattamente come, tra i bianchi, il goriziano Vintage Tunina di Jermann «Intramontabile, lo si può gustare anche dopo anni» e il bolzanino Terlaner I Grande Cuvée 2013, figlio di un’annata eccezionale, un vino dai profumi complessi, elegante e di grande equilibrio. In una parola, sintetizza Cerea: «Raffinatissimo». Infine, il prediletto dallo chef, che non disdegna le bollicine, ma preferisce i rossi: «Il mio Oscar? All’amarone classico della Valpolicella della famiglia Allegrini che ha saputo valorizzare le potenzialità di questa meravigliosa terra veneta. È il prodotto di un’imprenditoria appassionata e lungimirante che ha fatto di questo vino un punto di riferimento». Il capostipite Giovanni Allegrini era chiamato il ragno delle botti», perché faceva assaggiare con orgoglio i vini e, ascoltando giudizi ed impressioni, saltava come un ragno dall’una all’altra delle preziosi botti. «Quando dico passione del fare — conclude Cerea — penso a cose così».