La missione segreta del B-24 e gli italiani ancora senza nome
Settantadue anni fa il disastro del Menna
Nel cimitero militare di St. Louis, in Missouri, sono sepolti i resti di tutti e tredici: dieci americani, di cui ormai si sa praticamente tutto, e tre italiani che ancora oggi, dopo oltre settant’anni, restano senza identità. Tutti e tredici accomunati da un destino di morte sul monte Menna, sopra Oltre il Colle, dove il Lady Irene, il loro bombardiere, si schiantò mentre sorvolava l’Italia per liberarla dal regime. Chi erano quei tre italiani? È l’ultimo mistero irrisolto di una vicenda mai cancellata dalla memoria degli abitanti della zona, a ricordo della quale il comune di Oltre il Colle dedica ora un Memoriale (l’inaugurazione, domani alle 16, sarà seguita alle 21 da un convegno nel centro parrocchiale di Zorzone).
È il 4 ottobre 1944: l’Italia è in piena guerra civile, il Nord è sotto il controllo della Repubblica Sociale di Salò, ma i movimenti di Resistenza e gli Alleati sono più che mai impegnati nella lotta. Alle 18.45 parte da Brindisi un B-24 Liberator americano per una «missione operativa segreta» nell’Italia settentrionale. La riservatezza dell’azione impone il silenzio radio: l’aereo sorvola l’Adriatico e il Nord-Est senza più contatti con la base. Qual è lo scopo dell’impresa? Probabilmente, l’aereo deve mettersi in contatto con gruppi di resistenza bergamaschi, anche se alcuni aspetti della vicenda rimangono poco chiari.
Il B-24 era un bombardiere, e tra i rottami furono infatti ritrovati ingenti quantità d’esplosivo, anche non convenzionale. A complicare la ricerca della verità è la segretezza dell’operazione: i tre italiani ignoti erano agenti dell’Oss (Office of Strategic Services), la Cia del tempo, e nelle tasche delle loro uniformi erano contenute parecchie banconote, forse destinate ai partigiani, che però ricevevano di solito rifornimenti in alimenti o munizioni.
Quel 4 ottobre il B-24 si attardò in operazioni di aviolancio, che non riuscì a compiere, e che anzi furono la causa dello schianto. La giornata era la classica giornata autunnale di montagna: umidità, nebbia, nubi basse. Il Lady Irene tenta un lancio, invano; prova a riprendere quota, ma è ancora appesantito da tutto il carico di cui non si è sgravato. La cima del Menna è poco visibile, i fuochi predisposti dai partigiani nei prati per segnalare le posizioni sono offuscati. L’aereo si schianta poco sotto la vetta; un boato riecheggia per la valle. Per tutta la notte e l’indomani, da Brindisi, si cercherà di ristabilire i collegamenti via radio con l’aereo di cui non si avevano più notizie, ma sarà inutile: si penserà all’abbattimento o all’incidente.
A quel punto inizia un’altra storia. Gli abitanti della zona non esitarono, in un periodo di estremo bisogno, a recuperare i resti (dai soldi alle lamiere, dai paracadute alle vere dei soldati), per farne tettoie, strumenti di lavoro, stoviglie, lenzuola. Molti di quei reperti, raccolti negli anni da Giulio e Luigi Borlini, saranno esposti nel Memoriale. I corpi degli uomini — quel che ne restava — furono prima sepolti alla rinfusa nella zona dell’incidente, poi, nel 1950, traslati nel Jefferson Cemetery di St. Louis, in una tomba comune suggellata dal lirico epitaffio All gave some, some gave all, («Tutti hanno dato qualcosa, qualcuno ha dato tutto»).
Tra quel qualcuno ci sono anche i tre italiani ancora senza nome. Una trentina d’anni fa alcuni ricercatori locali, tra cui Massimo Maurizio, hanno iniziato una ricerca trasversale tra Italia e Stati Uniti per tentare di ricostruire l’identità delle vittime, ma la segretezza dell’operazione ha complicato le ricerche (gli atti del Pentagono sono rimasti secretati per cinquant’anni).
Il primo nome a cui si è risaliti è stato individuato grazie ad una circostanza fortunosa: nel 1944, poco dopo l’incidente, i parenti del pilota ricevettero dal parroco di Oltre il Colle (evidentemente in possesso di un documento dell’aviatore americano) una cartolina del paese, con una stella alpina incollata sul retro e la scritta «Questo fiore proviene dalla montagna dove il vostro ragazzo ha perduto la vita». In anni recenti una nipote del pilota, Valerie Vogt Pape, grazie ad alcune informazioni avute dalla freelance americana Constance Cherba, è riuscita a collegare l’evento fatale per lo zio, Robert
L’epitaffio Al cimitero di St.Louis: «Tutti hanno dato qualcosa, qualcuno ha dato tutto» Il ricordo di Oltre il Colle Il Comune dedica alle vittime un Memoriale che verrà inaugurato domani pomeriggio In serata un convegno a Zorzone
Sloan, all’incidente del Menna, dando per la prima volta il nome a una delle vittime.
A seguire, grazie anche all’apertura degli archivi, si è riusciti ad individuare l’identità di tutti e dieci gli americani dell’equipaggio. Nel 2011 alcuni parenti hanno fatto visita al luogo dell’incidente, mentre nell’ ottobre 2014, nel settantesimo dell’evento, la Cherba ha dedicato all’episodio un reportage su History Magazine, ed è stata organizzata una preghiera di commemorazione in contemporanea, in Italia e negli Stati Uniti.
Il Memoriale di imminente apertura, oltre ad alimentare il ricordo, ha il merito di ribadire quella stretta collaborazione tra resistenti italiani e forze anglo-americane che troppo spesso si tende a trascurare.
La ricostruzione storica dell’episodio del Menna non può però dirsi compiuta: ai tre agenti italiani, nell’impossibilità di restituire la vita che persero quel 4 ottobre 1944, sarebbe qualcosa restituire almeno un nome.