Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Jamil e il nuovo album: il rap senza collane
Jamil, veronese di origine persiana, classe ‘91, pubblica il nuovo album «Vedo troppa omologazione, ora si canta solo con l’auto-tune»
«Adesso la scena è tutta trap, completamente omologata, si canta solo con l’auto-tune e si parla esclusivamente di sesso e collane. Con il mio disco si torna al rap vero». «Rap is back», il rap è tornato, è il titolo del nuovo album di Jamil, rapper veronese classe ’91, al suo terzo disco (oltre a due mixtape) con milioni di streaming su Spotify. Di origine persiana, legato alla famiglia, è cresciuto in un quartiere multiculturale della provincia raccontando in barre la sua vita, parlando di razzismo e coerenza. Oggi inizierà anche l’instore tour che partirà, alle 16, da Dischi Ponte di Bassano del Grappa, Vicenza, per arrivare in serata, alle 20, alla Feltrinelli di Verona di via Quattro Spade. Il primo ottobre sarà anche al Saxophone di Vicenza (ore 16). Il brano Particolare va contro l’ostentazione del lusso dei colleghi.
Ma il rap o la trap non è anche immagine?
«Non metto collane perché possono diventare solo un collare che porta a cantare esclusivamente per avere delle cose materiali: l’arte così si perde. Ho messo sempre davanti il talento rispetto all’outfit o al modo di atteggiarsi. Ovviamente anche io ho il mio stile e amo i tatuaggi, ma non è una cosa che voglio sbandierare».
Come mai l’album non contiene featuring?
«Perché, specialmente in questo disco, volevo che la gente ascoltasse quello che ho da dire e non fosse distratta dalle partecipazioni».
La sua etichetta e la sua crew si chiama Baida Army. Ci spiega che cosa è?
«Avevo bisogno di una squadra che mi accompagnasse nelle date. Ho chiama
to i miei amici e ho attribuito a ognuno un ruolo, dal dj alla security. Poi ho scelto lo stesso nome per la mia etichetta. Sono molto fiero del fatto che sia una crew assolutamente multietnica».
Crescere a Verona è stato d’aiuto per la sua musica o avrebbe preferito nascere in una metropoli?
«È il mio punto di forza, non mi sono mai voluto trasferire per non omologarmi agli altri ed essere reale quando parlo della mia città: il rap viene dal termine rappresentare e io racconto la mia città, i miei amici e la mia vita».
La traccia più personale del disco è «My life», dove parla anche di droga. Come mai ha scelto di smettere?
«C’è stato un evento scatenante in questa mia scelta: mio padre ha avuto un infarto e dal letto dell’ospedale mi ha chiesto di smettere. Ho mantenuto questa promessa. E lo ringrazio: bisogna saper crescere».
Come mai sceglie di curare regia e montaggio dei suoi videoclip?
«Sono un mega appassionato di cinema. Ogni sera prima di dormire vedo un film. Siccome penso sia ridicolo continuare a rappare sopra i 50 anni, a un certo punto penso che smetterò e diventerò un videomaker, farò i videoclip per i ragazzi che fanno rap».