Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Baretta: «Guido l’opposizione per prepararla al 2025»
La telefonata a Brugnaro per augurargli buon lavoro «Ma questo risultato consegnerà Venezia a Zaia»
MESTRE «Questo risultato non consegna le chiavi della città alla Lega - ammette - le consegna a Zaia». Davanti all’evidenza dei risultati, il candidato del Pd e del centrosinistra Pier Paolo Baretta non perde neanche un grammo della combattività e del senso dell’umorismo che ha messo in campagna elettorale e neanche la fiducia.
Ha preso 36mila voti contro i 66mila e passa di Brugnaro e ha convinto solo nei seggi del centro storico; San Marco, Rialto Dorsoduro, Cannareggio ma non completamente, un pezzetto di Castello e della Giudecca: a Venezia svetta col
37% contro il 34 di Brugnaro. Ci scherza anche su: «Dovevate votare la separazione: non riconoscete un’opportunità politica, quando vi viene offerta», ride con i suoi nel quartier generale dell’Osteria del Gusto.
La prevalenza della sinistra a Venezia e di Brugnaro a Mestre è stato il grande leit-motiv dei separatisti nel voto del
1° dicembre (sembra una vita fa) affossato dall’astensione. Baretta, sottosegretario al ministero dell’Economia, ne ha tratto un dato politico e a 71 anni in poche settimane di campagna elettorale ha sfidato un braccio rotto, due giorni di isolamento per aver avuto contatti con candidato alla Regione Arturo Lorenzoni positivo al covid, la potenza comunicativa del sindaco uscente ed è ad andato a cercare nei rioni, nelle strade e nei quartieri i motivi dell’allontanamento del popolo dal centrosinistra.
Mentre Brugnaro coccolava la terraferma abbassando il costo delle strisce blu, riaprendo al traffico le strade del centro, riasfaltando, potando, inaugurando piste ciclabili, ponti, rifacimenti, a sinistra si dibatteva sopratutto di grandi navi e turismo. Temi che Baretta ha programmaticamente liquidato in due asserzioni: porto off-shore e prenotazione obbligatoria. E ora di fronte alla sconfitta suona la sveglia alla sua ampia coalizione. «Resto in consiglio comunale per fare l’opposizione – conferma - Non faremo gli errori di cinque anni fa». Ogni riferimento all’evanescenza di Felice Casson tra gli scranni di Ca’ Farsetti non pare casuale. Dopo trent’anni di governo della città, l’opposizione è stato un mestiere nuovo, affrontato senza una guida. «Incalzeremo la maggioranza. Venezia ha bisogno di futuro – incoraggia E ci prepareremo al 2025 con condizioni diverse: una nuova classe dirigente, nuovi obiettivi. E rifletteremo su quanto la coalizione sia stata presente nei territori». Poco, a quanto ha potuto constatare battendo le periferie trascurate palmo a palmo e leggendo gli scrutini: il colpo d’occhio della mappa di Venis sul risultato elettorale dice che non ha vinto neanche un seggio nella terraferma. Dove non ci sono case di pregio, dove di turismo si vive di rimbalzo, dove in certe zone le case popolari e quelle private non si distinguono a prima vista. È andato in ognuno di quei rioni, toccando con mano. C’è da forgiare una nuova classe dirigente, in quei luoghi, dice. C’è un vittoria: «Aver riportato l’entusiasmo, l’energia nella campagna elettorale – sorride Baretta - E non aver reso facile a Brugnaro una riconferma che solo tre mesi gli fa sembrava facile e scontata». Un rammarico: «Il poco tempo a disposizione». E una riflessione politica sul quadro generale: «Ha funzionato l’accordo Zaia-Brugnaro: i voti della lista Zaia si sono riversati sulla lista del sindaco». Che dal 21% del 2015 svetta al 31,6% del 2020. «Evidente: la Lega in città per le regionali ha preso l’11%; per le comunali il 13% - ragiona Ugo Bergamo – Solo il 2% di Zaia si è trasferito al Carroccio. La maggior parte è andata ai fucsia». Il Pd si mantiene sul 19% come nel 2015, secondo partito. Baretta alle 14,40 ha chiamato Brugnaro per fargli gli auguri. «Ti ringrazio per lo stile», la risposta.
Lo stile non è stata la cifra di questi mesi nei quali non si è andati di fioretto ma di mannaia. La prossima settimana il Pd farà le sue riflessioni, annuncia il segretario Giorgio Dodi. Che spiegherà anche l’avvitamento sulle Municipalità, dove i partiti del centrosinistra hanno litigato per mesi su chi doveva avere più candidati. Una trattativa infinita che ha portato a perdere molti parlamentini ed è ora motivo di rammarico nella coalizione: «Nomi di bandiera, già visti, che non hanno sfondato – dicono dal Pd e da Italia Viva – Bisognava aver più coraggio e fare subito un’operazione tipo la candidatura di Marco Borghi a Venezia».
La mia vittoria è aver riportato l’entusiasmo e aver reso più difficile la riconferma del sindaco