Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Paròn Rocco, eredità umana senza tempo

Nel febbraio 1979 moriva Nereo Rocco: da Treviso a Padova l’impronta di un grande tecnico che, oggi, è tornato d’attualità

- di Daniele Rea

Ci sono tre cifre per inquadrare, forse meglio di qualsiasi altra, una figura dalle mille sfaccettat­ure come quella di Nereo Rocco. Il Paron se ne andava quarant’anni fa, in una gelida mattina del febbraio 1979.

Ci sono tre cifre per inquadrare, forse meglio di qualsiasi altra, una figura dalle mille sfaccettat­ure come quella di Nereo Rocco. Il Paron se ne andava quarant’anni fa, in una gelida mattina del febbraio 1979, a Trieste, lasciando a soli 67 anni un vuoto incolmabil­e nel calcio italiano e non solo.

Ci sono tre cifre, per inquadrare Rocco: la prima è anagrafica, se vogliamo. Sulla carta di identità ha portato, alla voce profession­e, la dicitura «macellaio». Anche quando passò dal Padova al Milan e, insomma, era già un allenatore più che famoso. Macellaio, mestiere di famiglia a Trieste, dove il padre tagliava e vendeva la carne per le navi che prendevano il largo dal porto, allora ancora uno dei più importanti affacciati sull’Adriatico. La seconda cifra è di stile. Ai suoi ragazzi, a Padova ma anche al Milan, la domenica sera (sì, ai tempi il campionato di serie A si giocava solo la domenica pomeriggio) lasciava un unico messaggio, in triestino stretto: «Muli, se vedemo màrtedi (accento sulla a, rigorosame­nte), me racomandi: poco fumo e niente babe». Punto e fine. La terza è tecnica. Per anni Rocco venne frettolosa­mente bollato come catenaccia­ro e campione della difesa. Un provincial­e, col suo parlare in triestino, il borsalino sulle ventitrè e la poca attenzione alle mode.

Provincial­e? Ma quando mai. Difensivis­ta a oltranza? Nemmeno. Rocco, va detto, fu il primo allenatore italiano a portare a casa la Coppa dei Campioni: maggio 1963, stadio di Wembley, avversario il Benfica di Eusebio e detentore del titolo. Il Milan soffre, come no, va sotto con un gol proprio del fuoriclass­e portoghese ma, nella ripresa, rimonta e vince con la doppietta di José Altafini. Difensivis­ta poi, fa sorridere. Certo, con il Padova sapeva di doversi battere contro squadroni molto più forti. Resta indelebile il suo tonante «ciò, speremo de

no!» a un giornalist­a che lo intervistò prima di un Padova-Juventus e si accomiatò con il più classico dei «e allora vinca il migliore...». Rocco sapeva di dover pensare alla difesa ma con il Padova schierava in contempora­nea Rosa, Hamrin, Mariani, Brighenti Boscolo, che certo non erano terzini o stopper. E nel suo primo Milan c’erano Dino Sani, Rivera, Altafini, Pivatelli e Mora. Insomma, forse un precursore. I «figli» del Paron, calcistica­mente parlando, sono noti: Trapattoni, poi Cesare Maldini e Bearzot. Gente che qualcosa, nel calcio, ha seminato e fatto crescere. E poi i «nipoti»: c’è chi, non a torto, vede Gattuso e Allegri capaci di rifarsi all’idea del calcio di Rocco: Gattuso molto attento al «prima non prenderle» ma senza rinunciare a pungere e a giocare, Allegri con la capacità di gestione del risultato minimo e la semplicità del gioco, perché in fondo si fa calcio e non ingegneria aerospazia­le. Basta rendersene conto e non prendersi troppo sul serio. In Veneto, Rocco ha lasciato un’impronta indelebile: a Padova, prima di tutto, dove arrivò da un’esperienza non positiva con la Triestina. Dal 1954 al 1961 col biancoscud­o, un terzo posto mitologico e la leggenda dei «panzer»: quella linea immaginari­a davanti all’area di rigore era meglio non passarla per un attaccante, pena l’incolumità personale. E anche se alla fine era più la parola che il gesto, i tacchetti lasciavano il segno, certo. Così, tanto per farti capire che aria tirava all’Appiani.

In precedenza tre stagioni al Treviso, in B. Stagioni anonime, dove la mano del paron si sentì poco, culminate con un sesto posto. Resta la grande epopea del Milan in due tornate, interrotte dall’esilio a Torino: due scudetti, tre Coppe Italia, due Coppe dei Campioni, due Coppe delle Coppe, un’Interconti­nentale nella battaglia con l’Estudiante­s, dopo il ko nel ‘63 con il Santos di Pelè. Ma lui direbbe: «Ciò mone, xe solo futbol...».

La carriera Da Trieste ai trionfi con il Milan, passando attraverso il Padova e tre stagioni a Treviso Ieri e oggi Trapattoni, Maldini e Bearzot i «figli» di Rocco, oggi Allegri e Gattuso lo ricordano

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 ??  ?? In Nereo a sul Padova, campo terreno Rocco del Monti, velodromo campo di allenament­o adiacente lo stadio Appiani, passeggia insieme ai suoi «manzi» nel corso di una seduta tecnica. In basso l’allenatore con la Coppa dei Campioni e la Coppa Interconti­nenta le vinte con il Milan e, a destra, a San Siro insieme con l’amico e rivale Helenio Herrera subito prima di un derby tra Inter e Milan.
In Nereo a sul Padova, campo terreno Rocco del Monti, velodromo campo di allenament­o adiacente lo stadio Appiani, passeggia insieme ai suoi «manzi» nel corso di una seduta tecnica. In basso l’allenatore con la Coppa dei Campioni e la Coppa Interconti­nenta le vinte con il Milan e, a destra, a San Siro insieme con l’amico e rivale Helenio Herrera subito prima di un derby tra Inter e Milan.
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