Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Precipitano dall’Antelao muoiono due soccorritori
I sopravvissuti: «Precipitati accanto a noi»
Alessandro Marengon BELLUNO (nella foto a sinistra) ed Enrico Frescura (a destra) due ragazzi del soccorso alpino bellunese, sono precipitati da una parete rocciosa dell’Antelao. L’ennesimo incidente di un ponte del Primo Maggio che ha lasciato sulle Alpi 14 vite. La tragedia in un canalone molto difficile. La testimonianza di un alpinista: «I due corpi in caduta libera ci hanno sfiorato uno dopo l’altro, legati tra loro, in silenzio come se avessero già perso i sensi. È stato terribile».
BELLUNO
Una foto. Le creste dell’Antelao colorate dalla luna. Poco più sotto, una luce illumina la piccola finestra dell’edificio che gli escursionisti usano come bivacco invernale e lascia solo immaginare ciò che sta avvenendo all’interno della stanza. Gli alpinisti che si sistemano il casco, che controllano le corde. L’ultimo sorso di caffè prima di tentare la risalita dell’Oppel, il canale stretto e complicato che porta alla vetta.
L’immagine è stata ripresa poco prima dell’alba di martedì dalla webcam del rifugio Galassi e forse, scrivono su Facebook i gestori, racconta le ultime ore di vita di Enrico Frescura e Alessandro Marengon, i due ragazzi del soccorso alpino bellunese precipitati dalla parete rocciosa. L’ennesimo incidente di un ponte del Primo Maggio che ha lasciato sulle Alpi quattordici vite. In realtà, dentro quel bivacco illuminato c’erano i quattro alpinisti torinesi che di lì a qualche ora avrebbero assistito al tragico volo dei due bellunesi, e solo per miracolo non sono stati travolti. E così, quella foto trasmette tutta la silenziosa potenza della montagna, la pace dietro la quale si nasconde il pericolo imminente, il destino di chi si salva e chi no.
Per Enrico Frescura, 30 anni, e Alessandro Marengon, 28, entrambi di Domegge, doveva essere un’escursione veloce da finire nel primo pomeriggio. Parcheggiata la jeep al Rifugio capanna degli alpini, in fondo alla valle d’Oten, hanno inforcato gli sci e sono partiti. Erano due esperti, con alle spalle diverse imprese sportive, oltre a complicate operazioni di soccorso sulle vette venete. Hanno raggiunto il fondo del canalone in poco tempo. Le condizioni meteo erano ottimali. Caricati gli sci in spalla, hanno indossato i ramponi e cominciato la salita. Un percorso difficile ma che i due giovani alpinisti erano in grado di affrontare. Alle 8.15, giunti quasi alla fine del canale Oppel, sono scivolati e precipitati nel vuoto, fermandosi alcune centinaia di metri più in basso. I quattro torinesi che stavano percorrendo la stessa via, se li sono visti precipitare accanto e hanno dato l’allarme.
«Mentre risalivamo - racconta Massimo Giuliberti, che fa parte del Cai piemontese - quei ragazzi si trovavano a circa 200 metri da noi. I miei compagni si erano appena fermati a rifiatare e io li stavo raggiungendo, un po’ di lato rispetto alla verticale. È per questo che ci siamo salvati: all’improvviso, i due corpi in caduta libera ci hanno sfiorati uno dopo l’altro, legati tra loro, in silenzio come se avessero già perso i sensi. È stato terribile». I quattro alpinisti torinesi sono scesi il più in fretta possibile. «Solo quando siamo tornati alla base del canale, il telefonino ha ripreso a funzionare e abbiamo potuto dare l’allarme. Ma per loro, non c’era più nulla da fare».
Nella sciagura, il dramma dei soccorritori. Ad arrivare sul posto assieme al Suem, infatti, sono stati i volontari del Soccorso Alpino di Pieve, la stessa sezione di cui faceva parte Enrico Frescura. «Abbiamo capito che si trattava di lui e di Alessandro, il collega della squadra del Centro Cadore, solo dopo che le salme sono state ricomposte e portate a valle», racconta il caposezione, Federico Zanettin. «Li abbiamo riconosciuti dagli effetti personali, come gli adesivi incollati ai caschi...».
Difficile stabilire le cause dell’incidente. Forse uno smottamento o un appiglio sbagliato in uno dei passaggi più complicati del canalone, che già nei giorni scorsi aveva visto precipitare un altro componente del soccorso alpino, Giacomo Schenardi, rimasto gravemente ferito.
«Solo loro sanno cosa è successo», taglia corto Giuliano Baracco, che ha partecipato ai soccorsi. «Nessuno ha visto nulla e ormai non cambia niente. Possiamo soltanto ricordare i loro sorrisi e stringerci alle famiglie».