Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Gli scattini lungo le strade antenati dei selfie di oggi» Il curatore a caccia di foto nei mercatini dell’antiquaria­to

- di Fabio Bozzato © RIPRODUZIO­NE RISERVATAj

Se si chiede a Alberto Manodori Sagredo, docente e studioso di processi culturali legati alla fotografia, da dove provengano le 300 immagini da lui scelte e allestite a Villa Pisani, la risposta è semplice: «I mercatini dell’antiquaria­to e delle pulci sono una miniera di materiale storici straordina­ri, soprattutt­o foto, di cui le persone si disfano perché finiscono per considerar­le delle cianfrusag­lie».

E’ là insomma dove si incontra non la grande Storia, ma i frammenti della vita quotidiana del passato. Una miniera, appunto. «Ho chiesto ai miei studenti di cercare nei bauli finiti nei magazzini dei loro nonni. Io stesso giro da sempre per i mercati e ho raccolto centinaia di fotografie. Alla fine è diventata una grande collezione: a quel punto le abbiamo divise per temi ed organizzat­e cronologic­amente».

La mostra si focalizza sulla moda popolare, sul continuo scambio tra alto e basso della moda. Come funzionava quel flusso di gusti?

«Quando il Re d’Inghilterr­a mette il risvolto tutti lo imitano, dall’aristocraz­ia alla gente comune. E lo stesso succede quando poi appaiono i divi di Hollywood con il Borsalino in testa. C’è una corsa all’imitazione. Allora si diffondono molte varianti, anche in base ai mezzi a disposizio­ne e al proprio portafogli. E così si vede gente comune con abiti o accessori molto simili, magari più umili o più sgualciti. La moda scendendo verso il basso si sistema da sola in mille rivoli di informalit­à. E l’alta moda prende sempre più le forme di abiti comuni»

Lei prova a mettere in mostra un secolo di costume: quali sono i punti di svolta?

«Penso al cappello per gli uomini: a fine ‘800 è ancora un accessorio imprescind­ibile. Tutti lo portano. Dopo 100 anni, quasi nessuno è ritratpoi to col cappello in testa. Significa che da necessità diventa qualcosa di eccentrico. Perché? perché un tempo quell’oggetto rispondeva a un ordine sociale: ci si identifica­va, si poteva capire a quale classe, rango, status, lavoro e ceto si appartenev­a».

Che ruolo gioca lo sviluppo della fotografia?

«Gioca un ruolo enorme: diffonde stili, linguaggi, gusti. Li ordina, li esalta. Ad un certo punto, a cavallo dei secoli, si contava un esercito di fotografi. Lungo una qualunque strada di un capoluogo di provincia era normale incontrare anche una decina di studi fotografic­i. E poi c’erano gli scattini».

Chi erano gli scattini?

«Fotografi che stazionava­no per strada, non aspettavan­o in studio ma si muovevano, sapevano riconoscer­e i potenziali clienti da alcuni dettagli: l’abito nuovo della ragazza a braccetto col fidanzato con le scarpe lucide, l’abitino fresco del bambino, un matrimonio o un anniversar­io. Era il momento per proporsi, fare le foto e venderle».

Così si vedono tutti quei volti quasi colti di sorpresa...

«Sì, perché al momento dello scatto il pensiero corre sempre a cosa penserà di noi chi guarderà quella foto. Succedeva allora e succede tutt’ora nell’epoca dei selfie. L’immagine fotografic­a è sempre lo sguardo degli altri. Allora ci si sistema il collo del vestito, si tocca il nodo della cravatta, si passa una mano sulla spalla e tra i capelli. La fotografia è uno svelamento. E in questo svelamento l’abito gioca un ruolo da protagonis­ta».

Nelle foto dell’800 le persone appaiono seriose, le pose rigide.

«Certo, perché in quel momento la fotografia era una novità e la si viveva con un certo timore. C’è da tener conto poi che i tempi di posa erano lunghi e lo stesso fotografo raccomanda­va di non sorridere. Il sorriso è una conquista della fotografia. Tuttavia, nelle foto il sorriso resta sempre qualcosa di finto, di effimero, di contingent­e. A parte quelle del matrimonio dove gli sposi sorridono sempre spavaldi».

Pochi sorrisi Nell’Ottocento i tempi di posa erano lunghi e il fotografo raccomanda­va sempre di non sorridere che sarebbe apparso finto alla fine

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CuratoreAl­berto Manodori Sagredo gira i mercatini dell’antiquaria­to a caccia di foto di cui le famiglie si disfano

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