Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Danni reputazionali ed economici, Bpvi vuole 2 miliardi dagli ex vertici
Causa civile avviata, coinvolti 32 tra manager, consiglieri e sindaci. La difesa: «Dovranno dimostrarli»
VICENZA Per i danni, in termini economici e patrimoniali, su- biti a causa delle condotte ille- cite e degli episodi di mala gestione addebitabili alla vecchia gestione, Banca Popolare di Vicenza chiederà fino a due miliardi di euro agli ex vertici. È quanto si apprende, alla luce dell’atto di citazione notificato a 32 ex esponenti della banca, che contiene una quantificazione parziale dei danni subiti. Nella giornata di ieri intanto l’ex dg di BpVi Samuele Sorato è stato interrogato per circa sei ore in Procura dai pm che stanno seguendo l’inchiesta. Il manager nella sua difesa ha scaricato le responsabilità sul cda.
VICENZA Un presidente, Gianni Zonin, «vero e proprio dominus» di Popolare di Vicenza. Una direzione generale, guidata da Samuele Sorato, che fa marciare la banca con «un modus operandi d’inaudita gravità». Un cda e un collegio sindacale, per lo più composto da «un gruppo di consiglieri e sindaci particolarmente legati» a Zonin, che quel modo di procedere ha «reso possibile», con «comportamenti improntati a inescusabile e gravissima negligenza». È il quadro di Bpvi ante-maggio 2015, prima che le ispezioni di Bce facessero saltare il coperchio, dipinto dall’atto di citazione che il pool di avvocati dello studio Gatti-PavesiBianchi ha depositato l’altro ieri al Tribunale delle imprese di Venezia, traducendo in causa civile l’azione di responsabilità approvata in assemblea a dicembre.
Una causa che chiede un miliardo e mezzo di danni - ma potrebbero salire a 2 con gli ulteriori fatti che si stanno definendo e quantificando - a 32 tra ex amministratori, manager (con Sorato, i vicedirettori Emanuele Giustini, Andrea Piazzetta e Paolo Marin) e sindaci in carica tra il 1. gennaio 2013 e il 31 maggio 2015. Periodo che ha prodotto l’attuale quadro «a dir poco drammatico», scrivono i legali, in cui versa la Bpvi nelle mani del fondo Atlante, costretta a ricorrere al salvataggio con i fondi statali dopo aver accumulato perdite per oltre 4 miliardi in quattro anni, e aver azzerato prima i 119 mila soci e poi gli 1,5 miliardi iniettati da Atlante un anno fa.
Ora la nuova Bpvi tenta di rivalersi sugli ex vertici. Con un atto di citazione di 340 pagine, che quantifica quel miliardo e passa di danni. Per il 60% danni reputazionali, calcolati mettendo in fila i depositi e clienti persi, i 290 milioni accantonati per far fronte alle potenziali cause e gli oltre 400 per rimborsare i soci sulle azioni, per disinnescare il rischio cause.
La citazione elenca poi specifici episodi di danno, emersi nelle ispezioni Bce e Consob. Come i 350 milioni, già persi per 220, investiti nei fondi lussemburghesi Athena e Optimum, serviti ad acquistare bond di gruppi (come quelli riconducibili ai De Gennaro, Fusillo e Marchini, 80 milioni di finanziamenti alla Lujan svalutati per 60) già pesantemente esposti con la banca. Per continuare con i prestiti per acquistare azioni, costati ora una proposta di multa da Bce di 34 milioni per le informazioni false diffuse sul capitale nei bilanci 2014 e 2015. È il famoso miliardo prestato a 1.277 soci per sostenere gli aumenti di capitale 2013 e 2014 e il riacquisto delle azioni. Ovvero le «baciate», che per 313 milioni non hanno finanziato alcuna attività ma solo l’acquisto azioni, fatte spesso con clienti già in difficoltà, e non a caso già svalutate due anni fa per oltre 680 milioni. L’altra faccia della medaglia di un credito concesso in modo troppo facile, spesso sempre agli stessi. Casi noti: dai fratelli Ravazzolo, ritrovatisi primi azionisti della banca pre-Atlante con finanziamenti per 100 milioni finiti per 80 in azioni, incagliati per 41 e una causa con la banca sulle azioni. E ancora gli imprenditori del pane Morato (34 milioni, 16 in azioni), o Giuseppe Dalla Rovere (fidi per 13, 11,6 in azioni), o la Elan dei costruttori Cattelan, 38 milioni tutti in azioni. Gli stessi con cui la banca è finita nell’operazione dell’hotel San Marco di Cortina, finanziata per 20 milioni, persi per 15. Infine i casi dei soci scavalcati nelle vendite delle azioni da 630 favoriti che hanno potuto salvarsi, vendendo in tempo.
I profili di responsabilità, dice la citazione, sono gravi per i manager. Ma anche per un cda privo di «qualsiasi voce critica, relegato nel ruolo di semplice spettatore di scelte maturate altrove». Ma responsabile comunque, visto che approvava le pratiche di fido; spesso nella stessa seduta, sostiene la citazione, in cui si diceva sì alla vendita delle azioni finanziate. Su di loro, secondo la citazione, si staglia la figura di Zonin, «in grado, per carisma, autorevolezza ed esperienza, di indirizzare la volontà del cda». Zonin, che ha chiesto allo stesso tribunale di Venezia di accertare la «correttezza» del suo operato. Procedimento che la citazione della banca propone di unificare, definendolo però «una sfacciata lectio magistralis da chi si è reso responsabile (con altri) di gestioni censurabili e che per anni ha difeso una governance inadeguata e fallimentare». E Zonin? «Non vedo novità rispetto a dicembre. Quella è la tesi della banca - avverte il suo difensore Enrico Ambrosetti -. Ma bisogna dimostrarla. I processi servono a questo».
L’ex direttore generale Sulle “baciate” c’erano procedure per audit, risk management, collegio sindacale e revisori