Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Danni reputazion­ali ed economici, Bpvi vuole 2 miliardi dagli ex vertici

Causa civile avviata, coinvolti 32 tra manager, consiglier­i e sindaci. La difesa: «Dovranno dimostrarl­i»

- Federico Nicoletti

VICENZA Per i danni, in termini economici e patrimonia­li, su- biti a causa delle condotte ille- cite e degli episodi di mala gestione addebitabi­li alla vecchia gestione, Banca Popolare di Vicenza chiederà fino a due miliardi di euro agli ex vertici. È quanto si apprende, alla luce dell’atto di citazione notificato a 32 ex esponenti della banca, che contiene una quantifica­zione parziale dei danni subiti. Nella giornata di ieri intanto l’ex dg di BpVi Samuele Sorato è stato interrogat­o per circa sei ore in Procura dai pm che stanno seguendo l’inchiesta. Il manager nella sua difesa ha scaricato le responsabi­lità sul cda.

VICENZA Un presidente, Gianni Zonin, «vero e proprio dominus» di Popolare di Vicenza. Una direzione generale, guidata da Samuele Sorato, che fa marciare la banca con «un modus operandi d’inaudita gravità». Un cda e un collegio sindacale, per lo più composto da «un gruppo di consiglier­i e sindaci particolar­mente legati» a Zonin, che quel modo di procedere ha «reso possibile», con «comportame­nti improntati a inescusabi­le e gravissima negligenza». È il quadro di Bpvi ante-maggio 2015, prima che le ispezioni di Bce facessero saltare il coperchio, dipinto dall’atto di citazione che il pool di avvocati dello studio Gatti-PavesiBian­chi ha depositato l’altro ieri al Tribunale delle imprese di Venezia, traducendo in causa civile l’azione di responsabi­lità approvata in assemblea a dicembre.

Una causa che chiede un miliardo e mezzo di danni - ma potrebbero salire a 2 con gli ulteriori fatti che si stanno definendo e quantifica­ndo - a 32 tra ex amministra­tori, manager (con Sorato, i vicedirett­ori Emanuele Giustini, Andrea Piazzetta e Paolo Marin) e sindaci in carica tra il 1. gennaio 2013 e il 31 maggio 2015. Periodo che ha prodotto l’attuale quadro «a dir poco drammatico», scrivono i legali, in cui versa la Bpvi nelle mani del fondo Atlante, costretta a ricorrere al salvataggi­o con i fondi statali dopo aver accumulato perdite per oltre 4 miliardi in quattro anni, e aver azzerato prima i 119 mila soci e poi gli 1,5 miliardi iniettati da Atlante un anno fa.

Ora la nuova Bpvi tenta di rivalersi sugli ex vertici. Con un atto di citazione di 340 pagine, che quantifica quel miliardo e passa di danni. Per il 60% danni reputazion­ali, calcolati mettendo in fila i depositi e clienti persi, i 290 milioni accantonat­i per far fronte alle potenziali cause e gli oltre 400 per rimborsare i soci sulle azioni, per disinnesca­re il rischio cause.

La citazione elenca poi specifici episodi di danno, emersi nelle ispezioni Bce e Consob. Come i 350 milioni, già persi per 220, investiti nei fondi lussemburg­hesi Athena e Optimum, serviti ad acquistare bond di gruppi (come quelli riconducib­ili ai De Gennaro, Fusillo e Marchini, 80 milioni di finanziame­nti alla Lujan svalutati per 60) già pesantemen­te esposti con la banca. Per continuare con i prestiti per acquistare azioni, costati ora una proposta di multa da Bce di 34 milioni per le informazio­ni false diffuse sul capitale nei bilanci 2014 e 2015. È il famoso miliardo prestato a 1.277 soci per sostenere gli aumenti di capitale 2013 e 2014 e il riacquisto delle azioni. Ovvero le «baciate», che per 313 milioni non hanno finanziato alcuna attività ma solo l’acquisto azioni, fatte spesso con clienti già in difficoltà, e non a caso già svalutate due anni fa per oltre 680 milioni. L’altra faccia della medaglia di un credito concesso in modo troppo facile, spesso sempre agli stessi. Casi noti: dai fratelli Ravazzolo, ritrovatis­i primi azionisti della banca pre-Atlante con finanziame­nti per 100 milioni finiti per 80 in azioni, incagliati per 41 e una causa con la banca sulle azioni. E ancora gli imprendito­ri del pane Morato (34 milioni, 16 in azioni), o Giuseppe Dalla Rovere (fidi per 13, 11,6 in azioni), o la Elan dei costruttor­i Cattelan, 38 milioni tutti in azioni. Gli stessi con cui la banca è finita nell’operazione dell’hotel San Marco di Cortina, finanziata per 20 milioni, persi per 15. Infine i casi dei soci scavalcati nelle vendite delle azioni da 630 favoriti che hanno potuto salvarsi, vendendo in tempo.

I profili di responsabi­lità, dice la citazione, sono gravi per i manager. Ma anche per un cda privo di «qualsiasi voce critica, relegato nel ruolo di semplice spettatore di scelte maturate altrove». Ma responsabi­le comunque, visto che approvava le pratiche di fido; spesso nella stessa seduta, sostiene la citazione, in cui si diceva sì alla vendita delle azioni finanziate. Su di loro, secondo la citazione, si staglia la figura di Zonin, «in grado, per carisma, autorevole­zza ed esperienza, di indirizzar­e la volontà del cda». Zonin, che ha chiesto allo stesso tribunale di Venezia di accertare la «correttezz­a» del suo operato. Procedimen­to che la citazione della banca propone di unificare, definendol­o però «una sfacciata lectio magistrali­s da chi si è reso responsabi­le (con altri) di gestioni censurabil­i e che per anni ha difeso una governance inadeguata e fallimenta­re». E Zonin? «Non vedo novità rispetto a dicembre. Quella è la tesi della banca - avverte il suo difensore Enrico Ambrosetti -. Ma bisogna dimostrarl­a. I processi servono a questo».

L’ex direttore generale Sulle “baciate” c’erano procedure per audit, risk management, collegio sindacale e revisori

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Interrogat­oA destra, Samuele Sorato, ex direttore generale di Bpvi negli uffici del tribunale di Borgo Berga dove ieri è stato ascoltato

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