Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Mamma a 13 anni padre condannato
Padova, il bimbo sarà adottato
PADOVA È stato condannato a 5 anni con rito abbreviato Luca Caari, il sinti di 33 anni che l’anno scorso sposò e mise incinta una ragazzina nomade di 13 anni. Il caso fece scalpore un anno fa e nonostante ora si siano spenti i riflettori, la giustizia prosegue il suo corso. Ieri il gup Mariella Fino ha condannato l’uomo per violenza sessuale su minore, Caari ha come unica prescrizione quella di tenersi alla larga dalla ragazzina che ora vive in una casa famiglia. A lei dovrà risarcire un danno di 30mila euro. Ma la situazione si è fatta via via più complessa negli ultimi mesi. Innanzitutto sul piano giudiziario le indagini non si sono ancora concluse: il giudice ha infatti rinviato gli atti in procura per capire il ruolo della famiglia della ragazzina ipotizzando l’imputazione di concorso in violenza sessuale. Fu la famiglia a cedere in sposa la bambina al 33enne, rendendosi così complice di una violenza sessuale aggravata. Tanto più che la ragazzina è cresciuta senza un’istruzione: non sa leggere, non sa scrivere, a tutto questo sta cercando di porre un rimedio la casa famiglia che si sta occupando di lei, e che le sta fornendo le basi per poter andare a scuola, tuttavia la ragazzina, che è diventata mamma lo scorso novembre, è stata subito allontanata dal suo bambino, che è stato recentemente dichiarato adottabile. La tredicenne ha un’amministratrice di sostegno al momento, mentre la sua famiglia rischia guai seri. Il caso venne a galla nell’ottobre dello scorso anno quando la ragazzina, poco più di una bimba, si presentò in ospedale a Cittadella per le visite mediche. La segnalazione dei medici che hanno visto subito la sua giovane età è partita immediatamente sia ai servizi sociali che ai carabinieri. E poi la vicenda è esplosa: la ragazzina è stata subito allontanata da un contesto famigliare giudicato per lei dannoso, mentre il marito Luca Caari ha fatto il diavolo a quattro per riavere indietro «sua moglie». Un contesto difficile, quello della famiglia nomade che vive spostandosi lungo il Brenta ed è sempre apparsa diffidente nei confronti di chi in questi anni si è avvicinato per dare sostegno.